Le imprese lo sanno bene, il mercato post pandemia è drasticamente cambiato e, con esso, sono cambiate non solo le strategie produttive ma anche le professiorni. La nuova normalità post-pandemia, la transizione ecologica dell’industria e delle città, la guerra russo-ucraina, la globalizzazione con nuove caratteristiche e una rivoluzione tecnologica in costante accelerazione sono i cigni neri che hanno rivoluzionato il sistema economico.
Questi ultimi due in particolare, secondo alcuni esperti, sono quelli che avranno un impatto più immediato e profondo nelle professioni che conosciamo e formano quello che Leonardo Becchetti, ordinario di economia politica all’Università Tor Vergata e cofondatore di Next Nuove Economie, chiama «l’era della ‘globotica’».
«La globalizzazione è cambiata, perché mentre prima si decideva di produrre dove i costi erano minori. Oggi, invece, ci sono altri aspetti in gioco come quelli della guerra russo-ucraina e la questione energetica. Si guarda con più attenzione al fatto politico-strategico», spiega Becchetti. Da un’altra parte, la velocità delle trasformazioni tecnologiche e di circolazione della conoscenza è aumentata in modo esponenziale, ciò ha generato una corsa delle ricerche e delle previsioni per cercare di capire quali sono le professioni del futuro e quali lavori scompariranno.
Uno degli studi più diffusi, The Future of Jobs Report 2023 del World Economic Forum, ha analizzato l'economia di 45 paesi e ha concluso che almeno il 23% dei posti di lavoro attuali subirà profonde modifiche nei prossimi quattro anni.
Nel contesto della rivoluzione digitale, alcuni lavori che potrebbero scomparire sono quelli che coinvolgono azioni ripetitive e con poco bisogno di contatto umano. Ad esempio, operatori di telemarketing, cassieri bancari e di supermercato e assistenti per la gestione delle scorte, che possono essere sostituiti da sistemi automatizzati e intelligenti. Altre professioni che richiedono abilità specifiche come tecnici contabili, traduttori e revisori di testi, assistenti statistici, finanziari e assicurativi, potrebbero anch'esse essere sostituite da strumenti digitali.
Anche i lavori legati al settore energetico subiranno trasformazioni significative nel contesto della cosiddetta green economy. Becchetti cita l'esempio dei migliaia di posti di lavoro generati dal settore automobilistico e dalla produzione di componenti per i motori tradizionali, che stanno già iniziando a essere sostituiti da sistemi più sostenibili – e molto meno complessi.
D'altra parte, questo scenario è già responsabile della proliferazione di nuove professioni e competenze. Esperti di intelligenza artificiale e di machine learning, analisti di big data, specialisti in sostenibilità e in sicurezza informatica potrebbero essere alcune delle professioni più richieste. Gli insegnanti sono e saranno molto importanti, così come le persone che sanno lavorare con energie rinnovabili. «Gli specialisti in sostenibilità praticamente non esistevano fino a poco tempo fa. Quest'anno sono tra i primi tre che più crescono sulla piattaforma LinkedIn», commenta Luca Maniscalco, responsabile di Marketing e Comunicazione della Fondazione UNIMI e autore di “Il Lavoro che c'è” e "Afferma il tuo brand con LinkedIn", entrambi Flaccovio Editore.
Ma come garantire che l'operatore che lavorava sui motori a combustione venga incorporato nell'assemblaggio di un motore elettrico, o che il traduttore online non perda il suo lavoro a causa di Chat GPT? È alto il rischio che ci sia un’ondata di disoccupati da un lato e, da un’altra parte, migliaia di posti di lavoro non occupati per mancanza di competenze, allerta Becchetti. Per evitare questo fenomeno è fondamentale accelerare la produzione di nuove competenze attraverso investimenti in formazione continua e l’agevolazione degli stessi processi di transizione.
L’economista cita come un passo positivo l’investimento del PNRR nella prima componente della missione 5 - politiche per il lavoro –, settore che avrà un investimento di 6,6 miliardi di euro al fine di facilitare la transizione lavorativa e ridurre il mismatch di competenze attraverso la formazione di disoccupati, giovani e lavoratori. «Si valuta che l’interazione tra l’uomo e la macchina sarà più produttiva di quello che fa l’uomo solo o la sola macchina. Bisogna, allora, imparare a interagire con questo progresso in arrivo», rinforza Becchetti.
Stare al passo con i tempi e non togliere lo sguardo dalle possibilità d’innovazione sono, inoltre, attitudini necessarie agli imprenditori e ai lavoratori per affrontare positivamente questi cambiamenti, aggiunge Luca Maniscalco. «Tutto ciò porta a un vantaggio competitivo e distingue le aziende che crescono da quelle che non crescono», afferma.
Una cosa è certa: le capacità umane che più ci differenziano dalle macchine saranno considerate le più preziose. E queste sarebbero le cosiddette soft skills, le «competenze leggere», fra cui il pensiero analitico, la creatività, la flessibilità e la resilienza. Ma anche quelle relazionali come l’empatia, l’influenza, l’ascolto, la leadership, in particolare in un contesto in cui non si lavora più necessariamente insieme fisicamente. E come si imparano queste competenze? «Molti esperti sostengono che bisogna partire presto, già dalla scuola», dice Maniscalco. «Dal mio punto de vista, ci sono anche delle abilità che crescono con l’esperienza lavorativa e che si possono allenare e studiare. Per certi ruoli sono e saranno essenziali». Gloria Paiva
Professioni che potranno scomparire:
Professioni del futuro:
Ecco alcune competenze chiave per il lavoratore del futuro: