Strategie di brand journalism: trucchi, strategie e azioni per far parlare l'azienda

Strategie di brand journalism: trucchi, strategie e azioni per far parlare l'azienda
Brand journalism

Riportiamo la sintesi dell'Item "L'impresa come media. Perché sapersi raccontare fa bene al business", promosso nell'ambito del ciclo "how to", organizzato per trasferire alle imprese consigli, suggerimenti e spunti per migliorare il proprio approccio al mercato.

Se non racconti te stesso il meglio possibile, sei finito. Vale soprattutto per le imprese: vale soprattutto se le imprese sono piccole o medie. Messaggi e consigli di strategie di comunicazione lanciati quasi come bollettini, con concetti semplici, spiegati bene e più volte, con tanti esempi. Una guida, se si vuole. Così “L'impresa come media. Perché sapersi raccontare fa bene al business”, item di Confartigianato Imprese e Territorio, analizza il tema. «Nell'epoca della testimonianza continua, del tutto sotto i riflettori, anche per una azienda diventa fondamentale sapersi raccontare, e farlo nel modo giusto. Perché chi sa spiegare come e quanto è differente dagli altri ha chance enormi nel conquistare nuovi clienti. Certo servono competenza, strategia e continuità». L’ospite è Cristina Maccarrone, giornalista, Seo Copywriter, formatrice e autrice.

CONTENT MARKETING E BRAND JOURNALISM

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«Innanzitutto – esordisce l’esperta – brand journalism e content marketing sono due discipline diverse. Il primo è giornalismo di marca, di attualità, approfondimento. Informa per far conoscere la posizione dell'azienda. Il content marketing è il marketing attraverso i contenuti. Informa per vendere». Questo è quanto. Ma perché per raccontarsi un'impresa deve avere ben chiaro il proprio valore, e saperlo declinare? «Oggi la concorrenza non si gioca più solo nei prezzi: sono importanti, ma non decisivi. Conta molto l'attenzione che il brand concede alla sostenibilità, non solo ostentata ma reale. Ormai si può verificare tutto. E poi è importante l’attenzione al processo di produzione e quello nei confronti dei propri dipendenti. I valori devono andare di pari passo con le azioni concrete e non essere solo parole al vento. Parliamo di smartworking? Bene, fammi vedere come lo applichi. Il “brand journalism”, cioè il “giornalismo di marca” deve scegliere giornalisti di razza, che sanno raccontare ma soprattutto individuare le storie con contenuti profondi. Il content marketing può anche scegliere i blogger».

Per questo ogni azienda deve distinguersi. Spacciarsi per “unica”, se non lo è, o meglio ancora far vedere che lo è davvero. Trasmettere e raccontare valori trascinanti, empatici, che portino i clienti “sulla stessa barca”. Maccarrone: «Devo considerare cosa so fare di meglio e mi rende unico. Devo capire la mia unicità. Gli esempi posso essere tanti, come avere solo dipendenti sopra i 50 anni e costruire la comunicazione su questo. Io do lavoro a chi fa fatica di solito a trovarne. Inoltre è necessario usare i canali in modo sapiente. Coi media io comunico e lo farò sempre di più».

EMPLOYER BRANDING: BISOGNA ATTIRARE

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E poi c’è l’employer branding, la reputazione dell’azienda come datrice di lavoro. La capacità di essere attrattivi. «Il social principale – prosegue l’ospite – è Linkedin. Poi Instagram, se si sa utilizzarlo». Il fenomeno delle “grandi dimissioni” degli ultimi tempi, a cui alcuni analisti credono fino a un certo punto, e lo ritengono un fenomeno fisiologico o addirittura sovrastimato. Di fatto le persone durante due anni e oltre di pandemia Covid hanno capito che non si vive solo per lavorare: stare in un'azienda in cui lo stipendio è buono ma non si è contenti, non ha senso. Se l’azienda fa capire che può aiutare a realizzare i propri obiettivi non solo economici, ha vinto. Ormai deve dimostrare di avere le caratteristiche che il dipendente cerca, non il contrario.

Allo stesso modo è ormai fondamentale che siano i lavoratori stessi a farsi promotori, anzi veri e propri testimoni, storyteller, dell’impresa che paga loro lo stipendio. «E le imprese – chiarisce Cristina Maccarrone – lo stanno capendo sempre di più. Le pagine social sono e saranno comunque sempre meno forti delle persone. Queste ultime sono percepite come più vere, genuine, immediate. Ognuno, dalla segretaria al manager, può creare racconto».

I VIDEO? MEGLIO SE PROFESSIONALI

L’ultimo argomento dell’item, come era forse ovvio, riguarda i video pubblicati sui social. Un boomerang? «Teniamo conto che i social sono nati per condividere le dirette amatoriali filmate col telefonino. Quindi l’utente ancora perdona, nell’immediatezza, gli strafalcioni o le inquadrature sbilenche. Ma se non è in diretta ma un montaggio, è bene affidarlo a una figura competente. Il podcast non consente ancora grande monetizzazione, ma lì bisogna valutare il target di utenza. In ogni caso serve redigere un piano editoriale e, sempre, comprendere quale sia il proprio valore».

Un’azienda deve avere il sito aziendale. Questo è l’ultimo preziosissimo consiglio. Alcune piccole imprese scelgono la pagina Facebook come unico portale web ed è un errore: Facebook non è loro, si è ospiti, si può perdere tutto. Il website invece lo è. Allo stesso modo, se non curi una pagina social e non la aggiorni, la gente lo nota subito. Che senso ha un post di un mese fa come biglietto da visita? Inoltre, i commenti di chi non ha niente da fare e denigra il lavoro altrui vanno gestiti. Si cancellano solo se sono insulti, altrimenti si risponde portando la discussione in privato. Non rispondere è un errore e alcune grandissime realtà lo fanno, sbagliando.

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