Francesco Antonioli*
Gli esperti sostengono che in passato, sbagliando, abbiamo pensato che l’innovazione tecnologica producesse benessere a prescindere. Non è stato così. Per questo l’innovazione va governata con un nuovo modello di partnership pubblico-privato, favorendo il gioco di sistema. L’intervento pubblico dovrebbe evitare il proliferare di investimenti inutili, come le app per la delivery. Insomma, serve una innovazione sana.
Se le Pmi faranno marcia indietro dopo aver avviato la transizione, ne avremo un danno di carattere generale. I periodi di crisi possono invece diventare una occasione per riprogettare con intelligenza, guardando lontano. Il ripiegarsi su vecchie logiche non è compatibile con il Dna degli imprenditori, anche se piccoli. La transizione e la sostenibilità – energetica, ma anche economica e di governance – sono come due eliche in movimento. Vanno aiutate a girare insieme e non una contro l’altra. C’è molta confusione sul tema. Per questo occorrono buona informazione e corretta formazione. Le Pmi, che restano il tessuto portante dell’economia dei territori, possono darne buona prova. Facendosi “pivot” di un gioco di sistema, di alleanze di filiera utili per gli approvvigionamenti energetici e anche di partnership finanziarie utili per contrastare il problema sempre presente della sottocapitalizzazione.
Poi c’è il greenwashing, “l’ecologismo di facciata”, un termine negativo. È una piaga, come tutte le forme del washing in generale. Ma non deve spaventare. Semmai richiede di essere molto selettivi su questi temi, da parte sia delle imprese sia dei consumatori. Senza dimenticare che occorrono dei percorsi credibili per raggiungere la sostenibilità, senza farne dei dogmi. Un esempio tra i tanti è il settore dell’automotive. È vero che dobbiamo ridurre il riscaldamento globale, ma sposare in maniera così drastica la fine dei motori termici come ha fatto Bruxelles può creare non pochi problemi industriali.
Sposare l’elettrico in modo indissolubile oggi, tra l’altro, potrebbe pregiudicare altre opportunità che tra qualche anno potrebbe compiere l’idrogeno. E a quel punto? Non dimentichiamo che grande parte della produzione di CO2 dipende anche dai vecchi “involucri” delle nostre case e da come ci riscaldiamo. Serve, senz'altro, una politica industriale seria. E una corresponsabilità civica di tutti. Purtroppo, in Italia, siamo abituati a ragionare per ideologie.
La transizione energetica dovrebbe anche riconsiderare il nucleare, sempre più sicuro. Invece, da noi non se ne parla. All’estero non va meglio: la Germania, nei guai per il gas russo, ritorna al carbone, principale responsabile di morti dovute alla combustione fossile. La transizione riguarda ognuno di noi. Le imprese, certamente: per come intendono generare profitto e occupazione. Ma anche decisori pubblici e cittadini: ognuno, nel suo piccolo, dovrebbe dare un contributo per costruire un pezzo di futuro serio da lasciare ai giovani».
*Classe 1963, è direttore di Mondo Economico. Si occupa di economia reale, ha lavorato per molti anni al Sole 24 Ore. Segue i temi della sostenibilità anche per la piattaforma Torino Social Impact coordinata da Mario Calderini, docente al Politecnico di Milano, uno dei massimi esperti in materia