Cerco ma non trovo giovani: la natalità “taglia” l’occupazione

Cerco ma non trovo giovani: la natalità “taglia” l’occupazione
Giovani e occupazione

Alessandro Rosina, saggista che studia le trasformazioni demografiche, i mutamenti sociali, la diffusione di comportamenti innovativi, ha recentemente descritto come il rapporto tra giovani e mondo del lavoro sia in difficoltà.
Tra i dati si evidenzia come l'Italia sia lo Stato membro con percentuale più bassa di under 30: 28,3% contro valori superiori al 33% in gran parte d'Europa. Il riscontro dell'essere il Paese che sta affrontando la più drastica riduzione del potenziale di forza lavoro in modo del tutto inedito rispetto al passato, lo si può ottenere dal confronto tra la fascia di età 30-34 e la fascia 50-54. In Italia la prima risulta ridotta del 33% rispetto alla seconda, mentre il divario è più contenuto in Francia (meno del 10%) e in Germania (meno del 15%).

NESSUNO PEGGIO DI NOI

Giovani e occupazione

Insomma, la generazione che si sta immettendo all'interno dei processi produttivi nel nostro Paese è un terzo in meno rispetto a chi ha occupato sinora la parte centrale della forza lavoro E nessun altro Paese in Europa sta sperimentando un crollo di questa entità. Il tutto si inserisce, inoltre, in quadro in cui, secondo i dati del Rapporto giovani 2022 dell'Istituto Toniolo, si racconta come la crisi sanitaria sia stata vissuta dai giovani come una grande esperienza collettiva negativa, che ha eroso in modo marcato le risorse positive interne e le competenze sociali in tutte le dimensioni.

A diminuire è in particolare chi afferma di avere (“molto” o “moltissimo”) una “Idea positiva di sé” (scesi nei due anni di pandemia dal 53,3% del 2020 al 45,9% nel 2022), ma anche chi ha “Motivazione ed entusiasmo nelle proprie azioni” (passati dal 64,5 al 57,4%) e chi sa “Perseguire un obiettivo” (dal 67 al 60%). Insomma, i giovani, come si stanno accorgendo migliaia di aziende, sono pochi. E, sempre di più si sentono già “vecchi dentro”. Come uscirne? Lo si è chiesto a Serafino Negrelli, sociologo del lavoro dell’università Bicocca Milano: «Quello dei giovani – afferma l’esperto – è un problema strutturale italiano, perché il mercato del lavoro ha sempre teso a proteggere il capofamiglia, a scapito di giovani e donne».

LA RIFORMA DEGLI ITS

Una volta con una società profondamente diversa, forse, aveva un senso. Ora decisamente no. «L’altro problema – aggiunge Negrelli – è che in Italia ci sono pochi laureati, eppure le imprese non li assumono e, quindi, molti se ne vanno all’estero. Questo avviene anche perché molte Pmi non hanno adeguate risorse da investire nell’innovazione e, quindi, faticano a tenersi stretti i giovani laureati. D’altro canto mancano figure adeguatamente formate e, su questo fronte, spero che la riforma degli Istituti tecnici superiori possa dare una mano. È assurdo, infatti, avere da un lato un alto tasso di disoccupazione giovanile e, dall’altro, aziende che non riescono a trovare competenze sul mercato».

La soluzione?  Investire: «Le Pmi devono guardare come modello quelle realtà di media grandezza che si sono strutturate meglio e sono diventate leader nel mondo. Le Pmi devono inserirsi in queste catene e filiere di mercato in cui, aggregandosi e innovando, si cresce tutti. Un esempio? Cito una ricerca effettuata con Confartigianato Lecco: lì alcune Pmi che avevano poche risorse per innovare, si sono alleate e hanno avviato un contratto di rete, assumendo anche dei laureati come manager di rete, in grado di lavorare su nuovi prodotti e nuovi mercati per varie aziende». Insomma, un caso virtuoso e non troppo complicato da imitare.