Cade il tabù dello stipendio: il dipendente può chiederlo al primo colloquio

Cade il tabù dello stipendio: il dipendente può chiederlo al primo colloquio

No, non è più tabù che il candidato già al primo colloquio chieda a quanto ammonterà lo stipendio. I tempi sono cambiati: il coltello dalla parte del manico ora non ce l’ha più l’impresa. Si può dire che la lama sia duplice, che tenda da ambo le parti.

Consigli snelli su “Come scegliere il dipendente giusto”: In un momento difficile per l'occupazione, la scelta di un nuovo collaboratore diventa strategica per qualsiasi imprenditori interessato a portare qualità, proattività, competenze e continuità all'interno della propria azienda. L’item lanciato da Confartigianato Imprese e Territorio vede come ospiti Osvaldo Danzi, executive&social recruiter, Hr manager, giornalista ed editore e il coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio e saggista Antonio Belloni.

Di fatto, suggerisce come trovare un dipendente all’altezza delle proprie aspettative e, soprattutto, come adeguarsi ai tempi. Danzi: «Prima che un'azienda si metta a cercare il dipendente che gli occorre, quali domande è opportuno che gli faccia? Quando un'azienda apre una selezione, considerando che ne fa al massimo 3 o 4 annue in periodi di vacche grasse, le idee su chi si cerchi devono essere chiare e di solito lo sono di più da parte delle Pmi, rispetto alle grosse aziende. Un esempio: se hai meno di 200 dipendenti e ti occorre un responsabile della produzione, sai di cosa stai parlando». Oggi come oggi il candidato ha un livello di forza pari a quello del potenziale datore di lavoro: se è bravo, può andare altrove. Chiede subito quanto è lo stipendio, se c’è la possibilità dello smartworking. Quindi anche le aziende, e non solo il futuro dipendente, devono “vestirsi bene”. La gente si informa su come vengono trattati i lavoratori, sui benefit, se c’è formazione. Per fortuna i tempi del «ti do un lavoro, ringraziami e taci» sono ben lontani. Le Pmi hanno la possibilità di farsi conoscere, soprattutto perché la cultura del lavoro in Italia è molto scadente. Il piccolo imprenditore che va sul giornale perché ha assunto una signora in gravidanza non è solo lungimirante, ma è scaltro.

CAPIRE CHI ABBIAMO DAVANTI

Ma quali domande da porre al candidato quando lo si ha davanti? Risponde Belloni: «Quella standard riguarda le sue competenze. Poi dobbiamo capire se possiamo fidarci. Come può inserirsi, se può andare d’accordo coi colleghi, se è in grado di lavorare in gruppo. Come può rendere, qual è la motivazione che lo spinge a voler lavorare da noi. Soprattutto dopo tanti colloqui, si riesce a capire subito queste caratteristiche del candidato. Siamo autorizzati a capire che professionista abbiamo dietro, e di che persona si tratta. Sbagliare sarebbe un grave problema».

Quindi, allo stesso modo, la domanda sul “come si vede lei tra dieci anni?” è obsoleta, e fa sorridere. I tempi sono cambiati troppo e ormai tante generazioni diverse lavorano insieme. L’invito di Danzi è affiancare al selezionatore anche degli inventari di personalità, ossia questionari composti da una serie di domande (item) le cui risposte sono solitamente date in forma da poter essere facilmente valutate.

«Chiaramente – chiarisce – dipende se stai cercando qualcuno molto tecnico: su quei profili si lavora su mobilità, libertà, su aspetti che ci permettono di portarli via ad aziende più interessanti. Siamo noi che dobbiamo seguire la direzione del candidato. Gestire un'azienda oggi è più difficile perché non guida ma viene guidata. Bisogna far sì che le caratteristiche delle 50 persone a disposizione portino valore, attraverso loro stesse. Dovrebbero essere gli anziani ad accogliere i giovani in azienda, non i selezionatori del personale. Si sentono importanti, raccontano come evitare i vecchi errori, tramandano il mestiere. I giovani invece sarebbero i loro maestri tecnologici». «Il passaggio di consegne – conclude Belloni – non si programma, ma deve essere un pacchetto formativo che viene consegnato a livello umano. I sessantenni e i venticinquenni attuali costituiscono un incontro di due modalità di lavoro completamente differenti. Tutti insegnano a tutti».

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