Il cambiamento energetico fa paura per i costi ma è il passaporto per il futuro

Il cambiamento energetico fa paura per i costi ma è il passaporto per il futuro
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Il futuro, piaccia o no, viaggia verso le fonti rinnovabili. Ad esse devono puntare le imprese sia per risparmiare sia per continuare ad essere sostenibili e a diventarlo sempre di più. Se ne è parlato nell'ultima diretta Item di Confartigianato Imprese e Territorio dal titolo “Energia per le imprese: su quali fonti puntare?”. Tre le voci ospiti mai scontate: Vincenzo Balzani, chimico e professore emerito dell'università di Bologna; Nicola Lamberti, divulgatore ambientale & sustainability content creator (LinkedIn Top Voice Ambiente 2022) e Duilio Colonna, giornalista attento alla sostenibilità.

SURRISCALDARE O SALVARE IL PIANETA?

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«La principale fonte rinnovabile – esordisce il professor Balzani – è il sole, coi suoi raggi. Riscaldando in modo diverso le zone atmosfera consente lo spostamento masse d'aria, cioè il vento. Provoca la pioggia, che raccogliamo in un bacino, convogliamo in dighe e produciamo energia. Continuerà a splendere per almeno altri quattro miliardi di anni. Quindi per noi è rinnovabile eccome. Per utilizzare al meglio tutto questo, servono apparecchiature in grado di convertire questa energia in energia usabile. Il vantaggio delle rinnovabili è che i modi sono tre: energia fotovoltaica eolica e idroelettrica, in grado poi di essere convertite».

I combustibili fossili, lo sappiamo, producono calore e quantità enormi di anidride carbonica: quest'ultima non è pericolosa di per sé, ma si pone come “un mantello” attorno al globo e permette all'energia solare di entrare ma senza consentire il raffreddamento, perché l'atmosfera la rimanda sulla terra. Così il pianeta si surriscalda, e non possiamo più permettercelo.

SCEGLIERE L'INDIPENDENZA ENERGETICA

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Prosegue Lamberti: «La Co2 scherma e intrappola il calore e noi dobbiamo riuscire a sviluppare una forma efficiente di energia alternativa. Si tratta di una opportunità sia come imprenditori sia come cittadini. L'opzione giusta, in questo momento, è uno sviluppo economico aziendale che proviene da fonti di approvvigionamento non migliorabili: se scegliamo fonti di approvvigionamento come queste, diventiamo energeticamente indipendenti. Il posizionamento nella “tassonomia green” apre numerosi scenari d'investimento, e la scelta di fondi di approvvigionamento rinnovabili ha diversi benefici. Oggi esiste senza dubbio la possibilità di smartworking, nonché quelli degli spostamenti dell'azienda. Rappresentano “punti in più”, e danno benefici secondari importantissimi».

«È complesso – ha aggiunto Colonna – spiegare alle imprese differenza tra rinnovabili alternative e non rinnovabili, perché la terminologia si divide in settori che non sono settori pieni. “Rinnovabili” e “alternative” riguardano due settori differenti. Le rinnovabili (eolico e fotovoltaico) le hai sempre, grazie al sole. Le alternative sono le fonti come energia prodotta da biomasse o da bioraffinerie, o dall’idrogeno. Lo scetticismo di alcuni ha motivi culturali ed economici. Si teme che il cambiamento porti a dei costi maggiori per l'impresa o che non ci sia ritorno economico in medio e breve termine. Penso sia necessario superare il muro di diffidenza, e i riscontri in realtà ci sono».

L'IDROGENO E' COME UNA BATTERIA

Balzani: «Pensiamo all'idrogeno, come possibile alternativa. Non esiste in natura, bisogna produrlo, ma esiste anche quello “grigio” che genera Co2 ma costa di meno. Quindi le aziende tendono a usarle quello, anche se non dà nei grossi vantaggi. Se produco troppa energia elettrica devo accumularla, e l'unico modo per smaltirla è trasformarla in idrogeno. Puoi immagazzinare nell'idrogeno tanta energia elettrica».

Poi nel dibattito, e questa parte è davvero gustosa, c’è l’annoso problema di “nucleare sì” o “nucleare no”. Balzani è scettico. «L'Italia ha detto no con un referendum. Il nucleare non è economicamente conveniente in un regime di libero mercato: non se ne occupa nessuna azienda privata, ma solo le nazioni che hanno anche scopi bellici. Inoltre non si sa dove mettere le scorie radioattive, e non si tiene conto che il combustibile nucleare è l'uranio, una risorsa non rinnovabile o abbondantissima. Cosa me ne faccio di una centrale nucleare che non uso più? Di solito viene lasciata lì: che se ne occupino le nuove generazioni. Intanto la gente ha sempre paura».

Nicola Lamberti non è d’accordo. «La soluzione migliore – ribatte – è il mix energetico. Le scorie vengono trattate in modo studiato, e non ci si può lucrare. Le tecnologie dagli anni ‘90 sono migliorate, e per questo è un discorso da implementare con considerazioni le importanti. La creazione di comunità energetiche forse va a colmare il gap delle fonti rinnovabili con la produzione e l’autoconsumo di energia elettrica. Un paese intero va a beneficiare di energie rinnovabili e le produce in loco con impianti fotovoltaici, di solito. Essendo l’energia prodotta in loco non ha costi di trasporto e di produzione e la bolletta si riduce. La comunità energetica interessa non solo l'azienda ma il Comune stesso». L’esempio è quello di Pinerolo, cittadina di 35 mila abitanti in provincia di Torino: lì il 90 per cento dell’energia è autoprodotta. Meno emissioni, servizi migliori.

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