Come possono le imprese gestire il delicato passaggio di competenze tra generazioni senza perdere il proprio capitale umano e professionale? La rassegna Item d’Impresa, ovvero le dirette mensili di Confartigianato Varese, ha provato a rispondere a questa domanda nel corso della puntata del 16 gennaio 2025.
Lo ha fatto con un approccio innovativo, proponendo una circolazione continua e fluida delle competenze in alternativa ai tradizionali passaggi di consegne. Il confronto ha approfondito aspetti pratici come gli errori da evitare nella gestione generazionale e i motivi per cui abbandonare i vecchi metodi a favore di un modello basato sulla circolazione continua delle skill.
Il dibattito ha visto come protagonisti: Antonio Belloni, coordinatore Centro Studi Imprese Territorio di Artser; Mauro Gatti, professore ordinario di organizzazione aziendale all'università La Sapienza di Roma; Barbara Imperatori, PhD e Professor of Organization Theory & HRM e Francesco Antonio La Badessa, avvocato e partner dello studio Ichino Brugnatelli e Associati.
La gestione delle competenze tra generazioni rappresenta una delle sfide più complesse per le aziende, in un contesto segnato da trasformazioni demografiche e culturali. Promuovere un modello di circolazione continua delle conoscenze, superando il tradizionale approccio del semplice passaggio di consegne, potrebbe essere un approccio vincente, come è emerso dal dibattito seguente.
Secondo Barbara Imperatori, le differenze tra generazioni spesso vengono enfatizzate. «È pericoloso ragionare per compartimenti stagni – ha dichiarato – perché alimenta stereotipi e profezie che si autoavverano». Ormai diversi studi hanno dimostrato, infatti, che giovani e meno giovani desiderano dal lavoro obiettivi simili, come crescita professionale, adeguata retribuzione e senso di appartenenza. Inoltre, negli ultimi dieci anni, il potere di acquisto delle retribuzioni lorde in Italia è calato del 4,5% (dati Istat), mentre negli altri Paesi europei è cresciuto. «Un dato che solleva interrogativi sulle condizioni offerte ai lavoratori», ha commentato.
Per Antonio Belloni, sono le competenze a rappresentare il fulcro del passaggio generazionale. «L’azienda deve fornire ai giovani non solo una retribuzione, ma anche competenze – ha sottolineato – magari tramite un percorso graduale di affiancamento ai senior». Belloni ha presentato un recente studio Artser che mostra le diverse curve di apprendimento di giovani e senior, evidenziando quanto sia cruciale un processo ben strutturato per trasferire le skill in modo efficace. Concorda Imperatori, che ha evidenziato l’importanza di costruire progetti comuni che diano senso al lavoro: «Le organizzazioni devono valorizzare sia l’esperienza dei senior che la freschezza dei giovani magari attraverso programmi di mentoring, che facilitano lo scambio di competenze e prospettive». Il segreto per riuscirci? Riconoscere il valore specifico di ciascuna fascia d’età.
L’importanza di una pianificazione strategica, invece, è stata introdotta nel dibattito da Mauro Gatti: «Il passaggio generazionale richiede una capacità di programmazione che includa non solo la successione imprenditoriale, ma anche quella delle posizioni chiave», ha affermato. Gatti ha evidenziato la necessità di preparare le competenze interne delle aziende per rispondere ai cambiamenti del mercato e alle sfide globali, ribadendo come la gestione proattiva sia spesso trascurata nelle piccole e medie imprese. Anche Francesco Antonio La Badessa ha portato l’attenzione sulle difficoltà specifiche delle Pmi. «Reperire giovani talenti è complicato – ha spiegato – poiché spesso preferiscono le grandi aziende o le multinazionali, che offrono percorsi di carriera più strutturati».
La Badessa ha consigliato quindi alle Pmi di investire non solo in incentivi economici, ma anche in percorsi manageriali e culturali per attrarre e trattenere i giovani, trasformandosi in luoghi più stimolanti e competitivi. Imperatori ha confermato che le Pmi dovrebbero comunicare meglio il proprio valore, proponendosi come realtà eccellenti nel panorama industriale italiano. Belloni, inoltre, ha richiamato il concetto di "conoscenza circolante", ispirandosi al libro “Working Knowledge” (Harvard Business School Press, Boston, 1998), a indicare come anche le aziende più strutturate spesso non sfruttano appieno le competenze interne e non le comunichino. Belloni ha rimarcato l’importanza per ogni impresa, grande o piccola, di creare una mappatura delle competenze disponibili, registrandole e rendendole accessibili, per evitare di disperderle in caso di turnover o cambi generazionali.
Tornando alle Pmi, l’attrazione dei talenti resta un tema cruciale. Gatti ha parlato quindi di employer branding: «Le medie imprese possono offrire ai giovani esperienze formative uniche, consentendo loro di partecipare a più aspetti della gestione aziendale. Questo approccio può rappresentare un valore aggiunto rispetto alle grandi aziende, dove spesso si rischia di diventare solo un numero». Gatti ha inoltre ribadito la necessità di investire in politiche di gestione delle risorse umane, superando la logica di tagli a breve termine per creare ambienti di lavoro attrattivi e sostenibili. «Manca il coraggio di guardare al lungo periodo, ma questo è ciò che può garantire la competitività futura delle imprese», ha dichiarato.
La formazione continua, per esempio, per La Badessa è un pilastro fondamentale per colmare il divario generazionale a attrarre talenti. «I senior possono trasmettere la loro esperienza – ha affermato – ma devono anche essere riqualificati per acquisire competenze tecnologiche e digitali indispensabili nel contesto odierno». L’esperto ha riconosciuto infatti il valore delle nuove generazioni per la loro maggiore reattività e preparazione tecnica. A questo proposito, Belloni ha consigliato di strutturare processi aziendali che catturino e rendano trasferibili le conoscenze: «Ogni volta che un dipendente lascia un’azienda, una parte delle competenze rischia di andare persa. È essenziale fissarle, registrarle e assicurarsi che vengano condivise e trasferite».
Mettere in dialogo generazioni diverse è quindi un compito complesso, che richiede un cambio di prospettiva culturale. Il dibattito ha mostrato come il passaggio generazionale non sia solo una questione di organizzazione, ma anche di visione. Gli esperti hanno concordato sulla necessità di superare modelli obsoleti per adottare un approccio più dinamico e inclusivo. La sfida per le aziende italiane sarà quella di creare un contesto lavorativo capace di valorizzare sia il capitale umano che quello professionale, garantendo al contempo attrattività e sostenibilità nel lungo termine.
A questo proposito, è stato citato il recente Disegno di Legge (DDL) sulle piccole e medie imprese, approvato dal Consiglio dei Ministri il 14 gennaio 2025, che contiene tra le altre iniziative anche la cosiddetta “staffetta generazionale”. Questa norma consentirebbe ai lavoratori prossimi alla pensione (entro il 2028) di ridurre l’orario di lavoro tra il 25% e il 50%, mantenendo i contributi pieni grazie a un esonero contributivo. In cambio, l’azienda deve assumere giovani under 35 con contratti a tempo indeterminato. Come evidenziato dai relatori, ormai non si tratta più solo di trasmettere competenze, ma di costruire un sistema che le faccia circolare, alimentando innovazione e sostenibilità.