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Quanto costa assumere un dipendente da un'altra azienda?

Quanto costa assumere un dipendente da un'altra azienda?
Employer branding

Dalla difficoltà di trattenere i migliori talenti alla gestione dei costi di turnover, passando per strategie innovative come l'acquisizione di intere aziende per il personale qualificato, emerge la necessità di un cambio di paradigma nella gestione delle risorse umane. Il confronto tra approcci diversi, dall'attenzione alle competenze tecniche fino al coinvolgimento dei collaboratori nel capitale aziendale, offre spunti preziosi per ripensare il rapporto tra lavoratore e impresa. Questo tema è stato approfondito durante l’ITEM live, trasmesso il 20 novembre 2024 dalle piattaforme social di Imprese Territorio, che ha visto la partecipazione di Antonio Belloni, coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, Martina Gianecchini, professoressa ordinaria di gestione del personale all'Università di Padova e Luca Solari professore di organizzazione aziendale al Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell'Università degli Studi di Milano.

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QUANTO MI COSTA PRENDERLO DA UN'ALTRA IMPRESA?

Conviene davvero assumere una persona già formata? Come incide il costo del turnover nelle Pmi e nelle imprese familiari? Quali strategie possono davvero trattenere i migliori talenti? Queste riflessioni nascono da un caso riscontrato da Belloni in un'azienda, che ha acquistato un'altra impresa non per il know-how, i brevetti o altri motivi tradizionali, ma semplicemente per acquisire i suoi dipendenti. Si trattava di una realtà meccanica con figure professionali specifiche come tornitori e operatori su macchine a controllo numerico. Il Direttore del Centro Studi Imprese Territorio sottolinea come questo fenomeno, in cui si compra un’intera azienda per la difficoltà di trovare personale qualificato, stia diventando sempre più comune: «È diventato più semplice integrare un'azienda intera che singoli dipendenti nel proprio sistema».

Gianecchini conferma, collegando la situazione ai rapidi tassi di crescita di alcune aziende. «Per molte realtà è più conveniente fare un salto dimensionale importante con acquisizioni piuttosto che crescere progressivamente, poiché quest’ultima opzione potrebbe risultare economicamente più onerosa e complessa da gestire». Tuttavia, precisa che questa strategia è sostenibile solo per aziende ben patrimonializzate; in caso contrario, si torna a puntare sul singolo soggetto.

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COMPETIZIONE O COLLABORAZIONE

Un episodio del 2005 riportato nella discussione, che coinvolse Steve Jobs e l’azienda Adobe, evidenzia come in grandi aziende esistano regole non scritte per non sottrarsi vicendevolmente dipendenti, arrivando perfino a stabilire accordi tra CEO per limitare il reclutamento di figure chiave. Tuttavia, questo tipo di dinamiche raramente trova spazio nelle piccole e medie imprese, dove regna un’informalità diffusa e mancano risorse o volontà per affrontare simili situazioni tramite strumenti legali. La competizione, in questi casi, è spesso lasciata alla capacità di attrarre talenti con mezzi semplici e diretti.

La riflessione porta a interrogarsi su quanto l’attuale competizione tra piccole imprese sia realmente benefica. Guardando il quadro generale, emerge che una rivalità esasperata potrebbe danneggiare il sistema nel suo complesso, specialmente in contesti dove eccellenze locali si trovano a competere con grandi realtà internazionali. Questo suggerisce la necessità di una mentalità più orientata alla collaborazione. «Competizione e collaborazione possono coesistere, ma serve un cambio di paradigma per favorire un approccio più sistemico, capace di valorizzare le risorse del territorio senza logorarlo attraverso conflitti interni», è il messaggio dei relatori.

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IL RITORNO DEL VECCHIO COLLABORATORE

In un contesto occupazionale che è anche segnato da una profonda carenza di giovani, occorre adottare strategie innovative per attrarre e trattenere risorse. Una priorità è valutare le competenze tecniche con attenzione, ma puntando anche su profili leggermente sovradimensionati rispetto alle necessità attuali. Questo approccio, spiega Gianecchini, permette di «usare le persone come veicolo di sviluppo per l'azienda» e di affrontare con maggiore slancio il futuro. Un altro aspetto cruciale è l’esperienza pregressa nel cambiamento. Avere in squadra persone che hanno già affrontato trasformazioni organizzative può essere un elemento chiave: «Chi ha già vissuto questi processi può rappresentare un esempio e aiutare a superare le resistenze interne», sottolinea.

La compatibilità culturale e valoriale è altrettanto importante, anche più delle competenze tecniche in alcuni casi. «Talvolta è preferibile scegliere qualcuno meno qualificato ma capace di integrarsi meglio con il gruppo di lavoro», evidenzia. Infine, una strategia sempre più diffusa è il "boomerang hiring", ovvero il ritorno di ex dipendenti in azienda. Un tempo considerato quasi impossibile, oggi il rientro può essere una soluzione pragmatica: «Lasciarsi in buoni rapporti apre la porta a un futuro ritorno, un'opportunità vantaggiosa sia per l’azienda sia per il collaboratore».

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DIPENDENTE O DISOCCUPATO?

Per Luca Solari i vantaggi di acquisire personale qualificato da altre aziende dipendono da molte variabili, a partire dai costi complessivi e dai benefici di produttività. «Se il processo di trasformazione tecnologica è simile e i macchinari non sono molto diversi, c’è un risparmio nell’acquisire una risorsa già formata», dichiara, pur avvertendo che «se i macchinari o i processi sono molto differenti, quel vantaggio non c’è».

Sul fronte dei costi retributivi, osserva che un lavoratore si sposta solo con un significativo vantaggio economico: «Chi decide di attrarre personale qualificato probabilmente dispone già di una struttura retributiva più elevata, magari del 10-15% in più». Questo costo può essere compensato dal minor bisogno di formazione.

È emrsa poi una riflessione sulle difficoltà del mercato: «Sempre più aziende vorrebbero assumere giovani, ma non riescono a trovarli o, quando li trovano, non sono abbastanza preparati», osservando come queste sfide siano amplificate dalle incertezze economiche e sociali del momento.

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IL RUOLO DEI GIOVANI E IL FUTURO

A proposito di giovani, secondo Gianecchini, l'attuale situazione di incertezza e carenza di forza lavoro non porterà le aziende a escluderli, nonostante i costi iniziali legati alla loro formazione. «Anche chi è già formato o esperto necessita di ulteriore formazione, viste le rapide trasformazioni professionali», dice, rendendo inevitabile un investimento continuo in formazione. Tuttavia, il gap tra il fabbisogno di lavoratori e la disponibilità effettiva è così ampio che una strategia sistemica di esclusione dei giovani è impraticabile. La professoressa evidenzia l’urgenza di intervenire sui cosiddetti NEET e di ripensare le politiche del lavoro: «Il mondo delle imprese e i sistemi di istruzione devono pretendere risposte dalla politica, non solo per l’assunzione, ma per l’intero processo di formazione e apprendimento».

Gianecchini lancia un monito chiaro: «Siamo sul Titanic e l’iceberg è ben visibile». La politica, troppo concentrata sulle prossime elezioni, rischia di ignorare un problema cruciale: la futura insufficienza di giovani per soddisfare il fabbisogno delle piccole e medie imprese, con gravi conseguenze per il sistema economico nazionale. «È un dato matematico: senza un cambio di rotta, molte Pmi non avranno più dipendenti sufficienti per operare tra dieci anni».

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PUNTARE SULL'EMPLOYER BRANDING

Un esercizio utile emerso che consiglia l’esperta consiste nel riflettere sui motivi per cui una persona dovrebbe scegliere di lavorare presso l’azienda (quindi puntare sull’employer branding). «Spesso, quando questo viene proposto, le risposte tendono a essere simili tra realtà diverse, con affermazioni come l’offerta di formazione o un buon ambiente di lavoro. Sebbene siano elementi importanti, non bastano per rendere un’impresa realmente distintiva». In un mercato del lavoro in cui sono i collaboratori a scegliere le aziende tanto quanto le aziende scelgono i collaboratori, è fondamentale adottare una logica simile a quella del marketing.

Le persone cercano unicità e valore distintivo, così come avviene per i prodotti. «Anche le aziende più piccole possono valorizzare elementi specifici come la loro storicità, il carattere familiare o altri aspetti peculiari. Non si tratta necessariamente di offrire qualcosa di straordinario, ma di essere consapevoli dei propri punti di forza e di saperli comunicare per attrarre persone che si identifichino con quei valori», sottolinea la professoressa. Sebbene la mobilità oggi sia molto più elevata e non ci si aspetti più che le persone rimangano in un'azienda per vent'anni, durante i 4-5 anni in cui vi lavoreranno sarà comunque possibile sviluppare un’identità condivisa e un senso di appartenenza.

DALL'EMPLOYEE EXPERIENCE ALL'EMPLOYEE INTEGRITY

Secondo Solari, è raro trovare un lavoro che corrisponda al 100% alle proprie aspettative, ed è per questo che le aziende dovrebbero concentrarsi sugli aspetti pratici e sui bisogni reali dei lavoratori. «In un mercato dove è difficile trovare personale, non si può sempre pretendere che ogni dipendente abbia un entusiasmo sfrenato: l’importante è che svolga il proprio ruolo con competenza e attenzione alla sicurezza», ricorda. A volte, elementi semplici come la vicinanza al luogo di lavoro possono essere determinanti. Solari torna anche sull’importanza del dialogo, soprattutto in contesti operativi, dove spesso si trovano idee e soluzioni pratiche.

«Parlare di più con le persone e costruire relazioni dirette può fare la differenza», afferma, aggiungendo che le aziende dovrebbero farsi conoscere meglio, specialmente nelle scuole, per raccontare la realtà del lavoro manifatturiero e ridurre il disinteresse verso settori vitali come quello industriale. Molti ragazzi infatti non conoscono le opportunità offerte dal territorio, spesso per mancanza di informazione. Per valorizzare questi settori, è necessario un impegno maggiore da parte delle aziende nel mostrarsi come luoghi di opportunità e innovazione, superando stereotipi e promuovendo il proprio contributo concreto alla comunità.

UN BENEFIT ATTUALE? TORNA LA CASA

Belloni ricorda soluzioni concrete di benefit come l'asilo nido, l'aiuto babysitter o badante e, recentemente, l'offerta di abitazioni per trattenere i dipendenti. Cita poi un esempio pratico: «Un imprenditore lombardo ha acquistato sette case per i suoi dipendenti, arredandole con cura, perché ha capito che la casa è e sarà uno degli asset decisivi del futuro». Questi interventi, secondo lui, non solo rispondono a bisogni significativi, ma rappresentano investimenti che possono essere riorientati in futuro.

Solari aggiunge che non basta offrire spazi funzionali, ma è fondamentale curarne anche l’estetica. «Non solo una casa, ma una casa bella; non solo una fabbrica, ma una fabbrica bella», richiamando l’esempio di Olivetti, dove si progettavano ambienti lavorativi che garantissero un senso di benessere e attenzione per il lavoratore. Secondo lui, «la bellezza non è superflua, è parte della qualità della relazione che un’azienda vuole costruire». Entrambi concordano che investire nel benessere e nelle esigenze profonde dei dipendenti, combinando praticità e cura, rappresenta una strategia vincente per trattenere e motivare i talenti.

ASCOLTO E QUOTE AZIENDALI

Gianecchini sostiene poi quanto sia cruciale, oggi più che mai, mantenere un dialogo aperto con i collaboratori per rispondere in modo mirato alle loro esigenze. «Il feedback non dovrebbe essere inteso come un processo uni-direzionale, ma come un vero strumento di confronto e ascolto». Belloni aggiunge che dall’ascolto potrebbero emergere opportunità inattese, come il desiderio di alcuni dipendenti di diventare imprenditori o partecipare attivamente alla proprietà dell’azienda.

Propone quindi di considerare seriamente questa possibilità: «Quante aziende offrono ai lavoratori una partecipazione concreta al capitale aziendale? Pochissime». Per Belloni, questa opzione potrebbe rafforzare il legame tra collaboratori e impresa, dando loro motivazioni più profonde e ambiziose. Non si tratta quindi più solo di offrire lavoro, ma di costruire insieme percorsi di crescita e valorizzazione delle competenze, trovando un equilibrio tra ciò che l’azienda può fare per il lavoratore e viceversa. Questo approccio pragmatico è essenziale per mantenere i talenti e competere in un mercato dove le persone hanno sempre più alternative.

CONSIGLI FINALI

Un elemento imprescindibile in questo rapporto è il rispetto, che si costruisce con trasparenza, ascolto e decisioni chiare. «È necessario trattare i collaboratori come adulti, garantendo loro spazio per esprimersi e partecipare, senza scadere in accondiscendenze. Allo stesso tempo, il rispetto deve estendersi anche ai competitor, accettando che il rischio e le opportunità facciano parte del gioco imprenditoriale», dichiara Solari.

Quindi le aziende possono puntare su strumenti diversificati per attrarre e trattenere i lavoratori, adattandosi alle risorse disponibili. Se ci sono le possibilità economiche, si possono offrire stipendi competitivi, supporto per figli e anziani o persino soluzioni abitative. In caso di risorse più limitate, l'opzione della partecipazione al capitale aziendale rappresenta una valida alternativa per coinvolgere i collaboratori e farli sentire parte integrante del successo dell’organizzazione. Questo tipo di approccio, inclusivo e sostenibile, può aiutare le imprese a navigare le sfide presenti e future, valorizzando le risorse umane e costruendo relazioni solide e durature.

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