Terzisti italiani, da fornitori invisibili a marchi forti: le strategie che funzionano

Terzisti italiani, da fornitori invisibili a marchi forti: le strategie che funzionano

La filiera produttiva italiana è ricca di aziende che non appaiono mai sotto i riflettori. Sono i terzisti: imprese che lavorano per conto di altri, producono componenti essenziali, ma restano invisibili al mercato. Eppure, proprio questi attori “nascosti” stanno oggi ripensando il proprio ruolo grazie al marketing B2B. Di questo si è parlato dalla diretta del ciclo “Item d’impresa” trasmessa sui canali Facebook, Youtube e LinkedIn di Confartigianato Imprese e Territorio, che ha visto il confronto tra giornalista Maria Gaia Fusilli, autrice del libro “Il marketing dei terzisti”, e di Antonio Belloni, coordinatore del Centro Studi di Artser, coordinati da Sara Bartolini, Responsabile comunicazione corporate e relazioni esterne di Imprese e Territorio

Secondo Fusilli, oggi anche il fornitore che vive all’ombra della filiera può e deve diventare un brand. Il consumatore finale non lo conosce, spesso non ne immagina nemmeno l’esistenza. «Se io indosso una giacca, conosco il marchio sull’etichetta e magari mi interessa da dove proviene il tessuto, ma quasi mai so chi l’ha lavorato», ha spiegato la giornalista. Tuttavia, esistono realtà che hanno scelto di uscire da questa invisibilità e diventare partner strategici dei propri clienti. È il caso di imprese che Fusilli ha incontrato nel lavoro di inchiesta svolto per “ItalyPost”, e di altre aziende citate nel suo libro, che hanno fatto del marketing un elemento strutturale della propria identità.

VALORIZZARE L’INTANGIBILE

La trasformazione, ha sottolineato l’autrice, parte dalla consapevolezza interna: «Serve prima di tutto guardarsi allo specchio: capire chi sei, quali sono i tuoi punti di forza e costruire da lì una narrazione coerente». Spesso, ha osservato, si tratta di qualità già presenti, sviluppate nel tempo in modo informale, ma mai davvero valorizzate.

Ma perché tante Pmi ancora non investono nel marketing? Per Belloni, la risposta è culturale: «Il marketing, come molte attività intangibili – certificazioni, formazione, digitale – finisce nella cesta della sfiducia. Le imprese abituate a produrre beni materiali fanno fatica a investire in qualcosa che non si vede, che non lascia un segno fisico». Eppure, proprio l’intangibile può generare valore misurabile: visibilità, reputazione, attrattività per nuovi clienti. «Il marketing è nella stessa cesta di brevetti, lingue estere, digitale. Tutti elementi che oggi fanno la differenza».

DAL FORNITORE AL PARTNER STRATEGICO

Secondo Belloni, occorre superare l’idea che solo ciò che è tangibile abbia valore. «Anche nel B2B il marketing può essere decisivo, purché sia fatto con metodo e strategia. Non si tratta di gonfiare promesse, ma di raccontare bene ciò che si è davvero». Fusilli ha portato quindi l’esempio dell’azienda Brembo, nota per i sistemi frenanti, che nel tempo ha trasformato il proprio posizionamento grazie a una forte strategia di marketing B2B. «Il freno era invisibile, ma aveva un impatto determinante sulle prestazioni dell’auto. Brembo ha avuto l’intuizione di renderlo visibile, riconoscibile, quasi iconico», ha ricordato Fusilli. Il colore rosso dei freni, ormai distintivo, ha trasformato un dettaglio tecnico in un segno di qualità percepita, capace di influenzare direttamente le scelte d’acquisto.

La vera svolta si è avuta quando il cliente finale ha cominciato a chiedere esplicitamente un’auto “con freni Brembo”. A quel punto anche le case automobilistiche hanno capito che valorizzare il nome del fornitore poteva rafforzare il proprio prodotto. Un passaggio culturale che ha ridisegnato i rapporti di forza nella filiera e reso il marketing B2B non solo possibile, ma strategico. «È un caso eclatante, ma dimostra che anche chi lavora su commessa, se riesce a costruire una narrazione solida e coerente, può diventare un marchio riconoscibile, persino aspirazionale», ha commentato la giornalista.

MANTECO E BURIC: LA FORZA DELL’ETICHETTA CONDIVISA

Un approccio vincente è stato adottato da Manteco, azienda tessile di Prato specializzata nella lavorazione di lana riciclata. Grazie a un impegno concreto sul fronte della sostenibilità e della qualità, Manteco ha ottenuto il consenso di alcuni marchi partner ad apporre una seconda etichetta sui capi finiti. «Ho visto l’etichetta Manteco su un cappotto prima ancora di conoscere l’azienda», ha raccontato Fusilli. Questo tipo di co-branding, raro nel settore tessile, consente di educare il consumatore sul valore delle materie prime e della filiera.

Tra i brand che hanno accolto questa visione c’è anche Buric, marchio con cui Manteco ha attivato collaborazioni esplicite. In questi casi, il tessuto non è più un dettaglio invisibile, ma un elemento qualificante che rafforza la reputazione del capo finito. La trasparenza nella filiera diventa così un valore comunicabile, e comunicato.

ERRORI COMUNI E STRATEGIE DIFFERENTI

Un’altra riflessione emersa nel dialogo è legata agli errori più comuni commessi dalle aziende quando decidono di intraprendere un percorso di marketing da terzisti. Belloni ha sottolineato che il primo problema è l’approccio confuso o improvvisato: «L’errore più comune è non capire per quale strada si vuole fare marketing B2B. Si rischia di fare scelte a casaccio, senza strategia». Alcune imprese, ad esempio, tentano di sganciarsi dal cliente storico e creare un proprio prodotto, ma lo fanno con superficialità, come nel caso dello “spaccio aziendale”: si mettono in vendita scarti di produzione con un’etichetta nuova, senza curare branding, naming, canali distributivi o pricing. Un tentativo maldestro che spesso fallisce perché privo di una vera struttura strategica.

Belloni ha portato invece come esempio virtuoso il brand Vibram, noto per le suole da escursionismo e sport: «Siamo abituati a vedere la suola Vibram applicata sotto le scarpe di altri marchi, ma oggi Vibram sta tentando con successo anche la strada del prodotto proprio, visibile, autonomo con negozi monomarca». È un salto delicato, che richiede nuove competenze: comunicazione, posizionamento, capacità di parlare direttamente al consumatore.

In questo nuovo scenario, il fornitore per Belloni diventa consulente del cliente, aiutandolo a risolvere problemi, suggerendo soluzioni, offrendo servizi aggiuntivi. Questo valore, se ben identificato e comunicato, può giustificare un prezzo più alto e creare una relazione più forte. Ma resta ancora tanto da fare: molte imprese B2B non sanno dove vanno a finire le proprie componenti, ignorano l’uso finale del loro lavoro, e di conseguenza non riescono a immaginare il potenziale della propria offerta.

USCIRE DALL’OMBRA DEL CLIENTE CON STILE

C’è però anche un’altra strada, che non prevede di sganciarsi dal cliente storico ma di rafforzare il proprio ruolo nel rapporto B2B-2C. È la scelta di aziende come Lem, realtà della provincia di Arezzo specializzata in lavorazioni galvaniche, che si definisce ironicamente «il terzista del terzista». Non cerca visibilità sul mercato di massa, ma vuole essere riconosciuta e valorizzata dai grandi clienti per cui lavora, come Dior. Per riuscirci, lavora su una narrazione che elevi il proprio ruolo tecnico a contributo essenziale nel processo creativo del brand.

Un caso significativo è l’ingaggio di una fotografa storica del mondo della moda — con collaborazioni proprio con Dior — per raccontare visivamente l’interno della fabbrica e, in particolare, gli scarti. Questi ultimi, ridotti al minimo, diventano argomento di forza nella trattativa: «Così l’attenzione si sposta su ciò che sai fare bene, non su quanto costi», ha osservato Belloni. L’operazione permette anche di parlare lo stesso linguaggio del cliente: la scelta della fotografa è un segnale di appartenenza al suo universo estetico e culturale.

MARKETING DI RELAZIONE E TRASPARENZA

Oltre alla narrazione visiva, Lem ha puntato sulla trasparenza produttiva: ha invitato i propri clienti a visitare l’impianto e osservare in prima persona i macchinari di ultima generazione acquistati. «Far vedere come lavori è una forma di educazione. Aiuta il cliente a capire il tuo valore, anche tecnico, e ti fa entrare nel suo processo decisionale in modo più profondo», ha aggiunto l’esperto. È un marketing di relazione, più che di esposizione, che punta sulla condivisione del know-how e sulla fiducia.

Nel dibattito è stato poi sollevato un interrogativo centrale: nel momento in cui il terzista inizia a comunicare, rischia di perdere la propria identità originaria? È un dilemma che riguarda la capacità di bilanciare la visibilità con la fedeltà alla propria natura. L’equilibrio, suggeriscono i relatori, si trova partendo da un’autoconsapevolezza solida: raccontarsi non significa snaturarsi, ma valorizzare ciò che si è sempre stati — semplicemente, rendendolo finalmente visibile.

RICONOSCERSI PRIMA DI RACCONTARSI

La narrazione efficace, però, funziona solo se parte da una forte consapevolezza interna. «Bisogna guardarsi allo specchio e riconoscersi prima di raccontarsi — ha osservato Fusilli — altrimenti si rischia di perdere la propria identità nel tentativo di sembrare altro». È il principio guida seguito da Zordan, impresa di Valdagno (Vicenza) che realizza arredamenti e interior design per i negozi dei grandi brand del lusso. Prima di lanciarsi in qualsiasi azione di marketing, si sono chiesti: cosa ci distingue davvero dagli altri? E lo hanno fatto analizzando i concorrenti, studiando le loro caratteristiche, individuando margini di differenziazione reali e misurabili.

Il risultato è stato un sistema organizzativo innovativo (il modello TEAL, basato su autonomia, trasparenza e sostenibilità) accompagnato da una narrazione fondata su valori e pratiche autentiche. La sostenibilità, ad esempio, è stata trattata non come un claim pubblicitario, ma come elemento fondante dell’intero sistema produttivo. Solo una volta consolidata questa identità, Zordan ha iniziato a comunicarla ai clienti. «Se non hai le idee chiare prima — ha aggiunto Fusilli— difficilmente puoi fare passi in avanti credibili».

DA DOVE COMINCIARE: BUDGET E PRIORITÀ

Alla domanda: «Ho 10mila euro, da dove parto con il mio marketing?», si è aperto l’ultimo snodo del discorso. Il messaggio, condiviso da entrambi i relatori, è chiaro: prima ancora di spendere, bisogna conoscersi a fondo, capire i propri punti di forza e individuare il pubblico di riferimento. Solo dopo arriva la costruzione del messaggio, dei canali e della visual identity.

Ogni investimento in comunicazione deve essere coerente con l’identità aziendale, sostenuto da una strategia precisa e orientato a un obiettivo misurabile. Senza questa base, anche il budget meglio speso rischia di perdersi nel rumore di fondo del mercato. Il marketing, soprattutto per i terzisti, non è un abito da indossare, ma un modo per farsi riconoscere nella propria unicità. «Non servono milioni per iniziare, ma serve metodo. La logica esplorativa, comune in contesti come Stati Uniti e Germania, dovrebbe entrare stabilmente anche nel DNA delle imprese italiane», ha evidenziato Belloni.

INVESTIRE ANCHE NELLO SPAZIO

Fusilli ha ricordato poi un elemento spesso sottovalutato ma decisivo nella costruzione dell’identità aziendale: la sede. In apparenza secondario, il tema diventa strategico per molte imprese che, come Zordan a Valdagno, decidono di ricostruire gli spazi in cui operano per renderli coerenti con i propri valori. Una sede che rispecchia la sostenibilità, il benessere dei lavoratori e il legame con il territorio rappresenta un’estensione visibile del posizionamento del brand, sia nei confronti dei clienti che della comunità locale. Un edificio armonico, ben integrato nell’ambiente e costruito secondo criteri ambientali avanzati può diventare un potente strumento di marketing indiretto.

Fusilli ha racontato infatti come nel caso di Zordan, il nuovo edificio abbia attratto l’attenzione dei giovani del territorio, che hanno iniziato a consegnare spontaneamente i loro curriculum. Un impatto inaspettato ma altamente desiderabile, che mostra come anche la dimensione fisica possa contribuire alla costruzione di valore per l’impresa. Una sede che si fa manifesto, dunque, della visione aziendale. Non solo storytelling, ma anche un’azione concreta che genera ritorni su più fronti: produttività, reputazione e capacità attrattiva.

IL VALORE DELL’ASCOLTO

Belloni ha portato invece l’attenzione su un altro caso emblematico: Amplifon. Negli anni della guida di Franco Moschetti, l’azienda ha saputo trasformare un prodotto percepito come “grigio” — un ausilio per la sordità — in un’esperienza aspirazionale, attraendo anche giovani talenti da realtà come Ferrari e Prada. Il segreto? Una strategia di branding forte, accompagnata da un lavoro profondo sulla cultura aziendale. Rendere desiderabile un'impresa agli occhi dei professionisti è parte integrante della capacità competitiva di oggi, soprattutto in un mercato in cui la ricerca di competenze è sempre più agguerrita.

In chiusura, Fusilli ha ripreso il tema dell’ascoltare il cliente: «Non è solo buona pratica commerciale, ma il fondamento su cui costruire qualunque strategia di marketing solida». Non si tratta semplicemente di vendere un prodotto ben fatto, ma di comprendere cosa davvero serva a chi lo acquista. Capire questa differenza cambia tutto. Significa passare da un approccio meramente esecutivo a un ruolo di partner, capace di leggere i bisogni latenti, anticipare le richieste e contribuire alla crescita dell’interlocutore. Il marketing, in questa prospettiva, non è solo comunicazione, ma relazione. Un processo che si fonda sull’empatia, sulla curiosità e sulla capacità di tradurre un’esigenza in valore tangibile. Elisa Marasca

 

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