Quando l’energia decide il destino delle imprese

Quando l’energia decide il destino delle imprese
Energia imprese

L’aumento del 50,3% dei costi energetici nei primi otto mesi del 2025 rispetto al periodo pre-crisi non rappresenta solo un indicatore statistico, ma la linea di confine tra la sopravvivenza e la chiusura di molte attività. È quanto emerge dall’ultima puntata di Item d’Impresa, la diretta di Confartigianato Imprese e Territorio con Antonio Belloni, coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio di Artser, e Gianluca Ruggieri, docente di Fisica tecnica ambientale all’Università dell’Insubria.

GLI ERRORI DA EVITARE E I TAGLI CHE COSTANO CARO

Secondo Belloni, il problema non risiede tanto nei costi in sé, quanto nella loro imprevedibilità, che impedisce alle imprese di pianificare: «L’instabilità dei mercati energetici priva chi ha un’impresa della possibilità di programmare investimenti e strategie a lungo termine, rendendo la gestione quotidiana un esercizio di sopravvivenza».

Nelle fasi di crisi, molte imprese reagiscono tagliando le spese ritenute “non essenziali”, come formazione, marketing, comunicazione o ricerca e sviluppo. Una scelta che, per Belloni, rischia di minare la competitività futura. «Quando si fa manutenzione solo ai macchinari e non alle persone — ha avvertito — si generano costi nascosti destinati a esplodere nel medio periodo». Questo atteggiamento difensivo, sommato all’impossibilità di pianificare, crea un pericoloso circolo vizioso. La mancanza di investimenti in competenze e innovazione riduce la capacità di reagire alle crisi, mentre l’incertezza dei mercati (dall’energia all’acciaio o ai microchip) amplifica la vulnerabilità del sistema produttivo.

DIAGNOSI ENERGETICA: I CONSUMI NASCOSTI

Energia imprese

Ruggieri ha invitato a partire dai dati. Le imprese, spiega, spesso credono di conoscere i propri consumi, ma una diagnosi energetica accurata rivela quasi sempre sprechi inattesi. Le analisi mostrano che una parte rilevante dei costi deriva da consumi “invisibili”, come quelli notturni o nei fine settimana, che non sono collegati alla produzione ma pesano comunque sulle bollette. A questi si aggiunge il peso dei carichi di picco: gli impianti ad alto assorbimento incidono due volte, sul consumo e sulla potenza richiesta, rendendo indispensabile un controllo continuo dei flussi energetici. Solo un monitoraggio puntuale consente di trasformare l’imprevedibilità in gestione consapevole.

Il nuovo paradigma dell’energia impone infatti di superare l’idea del “prezzo unico”. Oggi, ha sottolineato Ruggieri, «non esiste più il prezzo del kilowattora ma i prezzi del kilowattora», diversi in ogni ora dell’anno. Conoscere e gestire questa variabilità permette di ridurre i costi spostando i consumi nelle fasce orarie più convenienti, senza necessariamente diminuire la produzione. Questa trasformazione richiede però un cambio di mentalità: la bolletta non va più vista come una semplice spesa, ma come uno strumento di analisi e di programmazione. Solo integrando competenze tecniche e visione strategica, le imprese potranno difendere i propri margini in un contesto dove l’energia è ormai una leva di competitività.

LA TRIADE DELLE DIFFICOLTÀ ENERGETICHE PER LE IMPRESE 

Energia imprese

Belloni ha quindi delineato la complessità del contesto in cui operano oggi le imprese italiane, strette tra l’imprevedibilità dei mercati e un sistema fiscale penalizzante. La componente fiscale dell’energia in Italia pesa infatti per circa il 40% della bolletta, con un’incidenza del 117% superiore alla media europea. Un divario che si traduce in uno svantaggio competitivo evidente: le aziende italiane pagano l’energia mediamente il 40% in più rispetto alle tedesche, e questo riduce la loro capacità di competere sui mercati internazionali. Il coordinatore del Centro studi ha parlato di una vera e propria “triade delle sfortune” che colpisce soprattutto le piccole imprese: costi più alti, margini ridotti e minore forza negoziale con i clienti. In questo scenario, il divario politico e geopolitico amplifica le difficoltà, poiché le scelte nazionali in materia energetica e fiscale non sempre rispondono alle esigenze delle aziende.

Tuttavia, ha ricordato, «l’impresa come organizzazione umana reagisce ai cambiamenti modificando il proprio comportamento», e proprio in questa capacità di adattamento risiede la chiave per sopravvivere. Serve un cambio di mentalità profondo: l’energia non può più essere gestita come una voce accessoria, ma deve entrare nei processi decisionali quotidiani, al pari della produzione e della finanza. Chi ha avuto la visione di investire per tempo, come nel caso di un imprenditore del settore ceramico che è divenuto socio di Eni per proteggersi dalle oscillazioni dei prezzi, dimostra che la predittività e la gestione strategica dell’energia possono trasformarsi in un vantaggio competitivo. «Se l’energia sarà una variabile costante nei prossimi trent’anni, bisogna monitorarla ogni giorno», ha consigliato Belloni, invitando le imprese a considerare la conoscenza dei propri consumi come la prima forma concreta di risparmio.

DAL RISPARMIO ALLA STRATEGIA DI LUNGO PERIODO

Energia imprese

Ruggieri ha poi ribaltato la prospettiva classica del “tempo di ritorno” sugli investimenti energetici, giudicandolo un concetto ormai superato. In un contesto dove il prezzo dell’energia può oscillare da 80 a 200 euro per megawattora, calcolare il rientro economico su base fissa è, secondo il docente, poco realistico. «L’impianto energetico — ha spiegato — deve essere considerato una forma di assicurazione: oggi investo, ma so già quanto spenderò per l’energia nei prossimi dieci o vent’anni». Il fotovoltaico rappresenta, in questa prospettiva, la fonte più economica nella storia della produzione elettrica, con costi d’installazione ormai contenuti e un’elevata resa nel tempo. Tuttavia, la sua efficacia dipende dalla capacità di utilizzare in loco l’energia prodotta: quando l’elettricità viene immessa in rete, il guadagno diminuisce perché il prezzo di vendita è basso proprio nelle ore di massima produzione.

Per questo motivo, Ruggieri ha suggerito un approccio graduale: partire con un impianto fotovoltaico, poi integrare batterie di accumulo per sfruttare meglio l’energia prodotta e infine introdurre pompe di calore per sostituire i sistemi termici tradizionali dove possibile. È un percorso verso la decarbonizzazione progressiva e una maggiore autonomia dai mercati energetici. Dal lato dell’esperienza diretta delle imprese, infatti, emerge come la transizione energetica possa trasformarsi non solo in risparmio, ma in opportunità. Alcune aziende, ha confermato Bartolini, stanno già sperimentando nuovi modelli: o utilizzando l’energia solare per introdurre colonnine di ricarica destinate ai dipendenti, integrando così il fotovoltaico in una politica di welfare aziendale; oppure un’altra azienda, dopo aver coperto completamente le coperture con pannelli, produce così tanta energia da rivenderla, traendone addirittura un profitto superiore ai margini operativi.

COMUNITÀ ENERGETICHE E NUOVE FORME DI PARTECIPAZIONE

Il confronto si è spostato poi su un piano più ampio, quello delle strategie collettive per affrontare la crisi energetica. Ruggieri ha sottolineato l’importanza crescente delle comunità energetiche rinnovabili, un modello che consente alle imprese di condividere il surplus di produzione con altri attori del territorio, ottenendo vantaggi sia economici sia sociali. «Si può scegliere — ha spiegato — se orientare la comunità verso la solidarietà o verso la remunerazione diretta, ma in entrambi i casi si crea un valore diffuso».

Per Belloni, questa formula rappresenta anche una risposta concreta al peso fiscale e alla volatilità dei prezzi. Le comunità energetiche, ha osservato, permettono di “bypassare” in parte le rigidità del sistema, offrendo stabilità e autonomia. Ma soprattutto, aprono la strada a una riflessione più radicale sul modello d’impresa: non tutte le aziende possono permettersi strategie complesse di diversificazione o investimenti milionari. Una metafora provocatoria ha spiegato la sproporzione dimensionale del tessuto produttivo italiano: «Per chi ha solo diecimila euro di risparmi, la scelta migliore non è investirli, ma mangiare di meno». Nel linguaggio delle imprese, significa ripensare i prodotti e i settori, orientandosi verso attività meno energivore o, nei casi estremi, riconoscere quando non è più sostenibile proseguire.

TRANSIZIONE 5.0, IL PIANO CHE SVELA LE FRAGILITÀ DEL SISTEMA

Energia imprese

La discussione si è poi spostata sulla Transizione 5.0, il principale piano nazionale per accompagnare le imprese verso la digitalizzazione e la sostenibilità, attualmente bloccato con 4,2 miliardi di euro ancora fermi. Una contraddizione evidente: mentre le aziende affrontano rincari energetici record, l’unico strumento pensato per supportarle resta in sospeso. È stata richiamata infatti la celebre frase di Warren Buffett — «Quando si abbassa la marea, si vede chi nuotava senza costume» — per descrivere come le fasi di crisi rivelino la reale capacità delle imprese di innovare.

L’esperienza della Transizione 4.0 aveva già mostrato limiti e distorsioni, con molte aziende che avevano utilizzato gli incentivi solo per spese marginali, come computer o stampanti. Con la 5.0, i requisiti sono diventati più stringenti: occorre dimostrare il reale impatto energetico degli interventi, presentare progetti certificati e documentare i risultati. «Un passo avanti necessario — ha spiegato Belloni — ma che ha messo in luce la scarsa preparazione tecnica e organizzativa di tante piccole imprese». Il risultato è un paradosso: un piano ambizioso ma poco accessibile, che al momento rimane imbrigliato in una burocrazia complessa e in una diffusa incapacità di pianificare.

LE COMPETENZE COME CARBURANTE DELLA TRANSIZIONE

La parte conclusiva della diretta ha trattato un nodo cruciale: la carenza di personale formato. Già con la Transizione 4.0 molte imprese avevano acquistato macchinari e tecnologie senza disporre delle competenze necessarie per utilizzarli in modo efficace. «Oggi — ha osservato Belloni — esistono aziende con impianti che funzionano al 40% del loro potenziale, semplicemente perché non si è investito abbastanza nella formazione». Un errore che rischia di ripetersi. Ogni trasformazione strutturale richiede tempo, conoscenza e una visione strategica di lungo periodo, elementi che nel sistema produttivo italiano faticano ancora a radicarsi. L’impazienza di ottenere risultati immediati — quello che Belloni ha definito “il vizio del cambiamento istantaneo” — mina la capacità delle imprese di costruire innovazione vera e duratura.

Ruggieri ha ampliato la riflessione ricordando che, al di là delle difficoltà burocratiche e delle leggi complesse, l’obiettivo resta definito: la decarbonizzazione entro il 2050. Un traguardo che può sembrare lontano, ma che richiede di “mettere in fila” oggi le scelte operative, di investimento e di organizzazione coerenti con quella direzione. «Negli ultimi cinque anni — ha detto — il mondo è cambiato più volte: la pandemia, la crisi del gas, la guerra in Ucraina. Ma se sappiamo dove vogliamo arrivare, ogni decisione nel breve periodo diventa più chiara». Per le piccole e medie imprese, il primo passo è una diagnosi energetica accurata, da cui far discendere strategie realistiche e personalizzate, integrando opportunità di finanziamento e analisi dei consumi.

UNA MENTALITÀ EVOLUTIVA PER UN FUTURO INCERTO

La vera sfida, quindi, non è solo economica, ma culturale. Molte imprese italiane continuano a considerare l’energia come un problema da “risolvere una volta per tutte”, installando un impianto o aderendo a un bando, per poi tornare alle abitudini di sempre. È una visione “plug and play”, ha spiegato Belloni, che non può più funzionare in un mondo dove l’instabilità è la norma.

Servono controllo costante, aggiornamento continuo e la capacità di cogliere ogni finestra di opportunità. L’energia, insomma, non è più una voce di costo da comprimere, ma un terreno di competizione e di conoscenza da presidiare giorno per giorno. La crisi energetica non è solo un’emergenza temporanea, ma una trasformazione strutturale del modo di fare impresa. Le aziende italiane dovranno imparare a convivere con la variabilità, investendo in competenze, innovazione e strategie di lungo periodo. Solo chi saprà considerare l’energia non come una minaccia, ma come una leva di sviluppo, potrà affrontare con successo la prossima stagione economica. Elisa Marasca

GUARDA LA DIRETTA