Pmi, rilanciare la produttività con sostenibilità e AI
La bassa produttività italiana si supera puntando su sostenibilità, economia civile e formazione continua nell'era dell'Intelligenza Artificiale

La questione della debole crescita della produttività del lavoro, seppure in un contesto di rallentamento globale, è stata definita “il” male dell’economia italiana. La riduzione della produttività italiana riflette una serie di fattori, tra cui un modello di sviluppo imperniato prevalentemente sulle piccole e medie imprese manifatturiere, che presentano una minore capacità di assorbimento di nuove tecnologie e di penetrazione sui mercati internazionali e una minore qualificazione del capitale umano. Ma cosa si intende con il termine “produttività”? E quali sono i problemi della produttività italiana? Lo abbiamo chiesto a Leonardo Becchetti, professore di Economia Politica all'Università di Roma Tor Vergata

Per tentare di decifrare il puzzle della produttività italiana è bene partire da una chiara comprensione del concetto stesso di produttività. Spiega il professor Becchetti: «Da un punto di vista analitico la produttività è il rapporto tra un input della produzione (lavoro o beni capitali di solito) e l’output in valore monetario. La produttività del lavoro può essere misurata come valore dell’output venduto diviso per il numero di ore lavorate. Esiste anche quella che chiamiamo produttività totale dei fattori e che viene misurata come un parametro che incide sul valore della produzione al di là dell’effetto di lavoro e capitale e può catturare principalmente variabili di sistema delle più varie dal costo dell’energia, all’efficienza della pubblica amministrazione, ai tempi della giustizia civile, insomma a quei fattori confluiscono nel cosiddetto sistema paese che può aiutare o ostacolare la produzione».
Addentrandoci nel merito della produttività italiana che non cresce, secondo il rapporto annuale 2024 dell’Istat la stagnazione della produttività del lavoro è uno degli elementi che ha contrassegnato il debole andamento del Pil in volume negli ultimi vent’anni e il relativo allargamento del divario di crescita con le altre principali economie dell’Ue: in volume, il Pil per ora lavorata in Italia è cresciuto solamente dell’1,3 per cento tra 2007 e 2023, contro il 3,6 per cento in Francia, il 10,5 in Germania e il 15,2 per cento in Spagna. Perché? Prosegue Becchetti: «La bassa produttività italiana dipende non solo dalla debolezza della produttività totale dei fattori e delle variabili sopra descritte e ad essa sottese, ma anche dalla nostra specializzazione relativa in turismo, ristorazione terziario non avanzato e in aziende componentiste o contoterziste che in realtà innovano ma il cui contributo innovativo viene schiacciato dalle rendite di posizione dei committenti e delle grandi aziende che guidano le filiere”.
L’IMPATTO DELLA SOSTENIBILITÀ SULLA PRODUTTIVITÀ

L’impatto della sostenibilità sulla produttività è un tema di crescente interesse; una questione ineludibile che pone in evidenza la necessità di equilibrare la crescita economica con la protezione dell’ambiente e la promozione della giustizia sociale.
Questo nuovo approccio ricollega il successo aziendale con il progresso sociale: oltre ai tradizionali criteri di efficienza e di produttività, quali metriche possono essere utilizzate per misurare l'impatto della sostenibilità sulla produttività aziendale? «Sappiamo dalla tassonomia green dell’Unione Europea, ma non solo, che i sei grandi domini della transizione ecologica sono: mitigazione, adattamento, qualità dell’aria, qualità dell’acqua, biodiversità, economia circolare. Il progresso su ognuno di questi domini si misura attraverso un set d’indicatori importanti che ci consentono di capire se le imprese sono avanti o indietro sul sentiero. Ad esempio in materia di economia circolare ciò che più conta è conoscere la quota di materia seconda (riuso, riciclo) utilizzata per produrre – precisa Becchetti – Come dimostra la storia del consorzio Comieco, il mettersi assieme per perseguire un obiettivo di transizione ecologica ha consentito di realizzare economie di scala sull’uso di carta riciclata che creano un vantaggio competitivo per i consorziati. Un indicatore a cui tutti guardiamo perché centrale per l’obiettivo della mitigazione, e quindi del contrasto al riscaldamento globale, è quello delle emissioni nette di Co2. L’obiettivo delle aziende come quello degli stati è arrivare ad emissioni nette zero (tramite abbattimento, cattura o compensazione). Infine anche l’adattamento è fondamentale perché ormai il sistema bancario penalizza le imprese più esposte al rischio climatico e meno capaci di adattarsi. Insomma su ognuno dei sei domini ci sono metriche che consentono di misurare lo stato di avanzamento e sulle quali veniamo giudicati comparativamente rispetto ai nostri concorrenti».
Domini della Transizione Ecologica
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Descrizione |
Mitigazione
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Strategie per ridurre o prevenire gli effetti negativi dell'attività umana sull'ambiente |
Adattamento
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Strategie e azioni volte a fronteggiare e gestire gli effetti dei cambiamenti climatici già in atto o previsti |
Qualità dell'aria
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Comprende non solo le politiche e le pratiche aziendali volte a ridurre l'inquinamento atmosferico, ma anche l'impatto che tali azioni hanno sulle comunità e sugli ecosistemi |
Qualità dell'acqua
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Le aziende sono chiamate a prendere in considerazione le proprie pratiche idriche e il loro impatto sull'ambiente e sulle comunità |
Biodiversità
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Le aziende devono valutare come le loro operazioni influiscono sulla biodiversità locale e globale, sviluppando strategie per la conservazione e il ripristino degli ecosistemi naturali |
Economia circolare
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Mira a ripensare i modelli di produzione e consumo per ridurre gli sprechi, massimizzare l’uso delle risorse e promuovere la sostenibilità attraverso un approccio rigenerativo |
La sostenibilità incide su molti aspetti chiave della produttività (efficienza delle risorse, benessere dei dipendenti e attrattività, resilienza organizzativa, vantaggio competitivo, capacità di innovare e accedere a nuovi mercati), eppure le Pmi ancora faticano ad avviare un processo di trasformazione lineare di fronte al cambio di paradigma della sostenibilità. La sfida del futuro si giocherà necessariamente su nuovi modelli di sviluppo in grado di ridisegnare i modelli economici che hanno dominato negli ultimi decenni.

L’economia civile rappresenta una valida risposta alla complessità e problematicità del nostro tempo. Non solo Pil e profitto ma anche realizzazione del bene comune, in un dialogo continuo tra economia, etica e politica. Qual suggerimento, dunque, arriva dall’economia civile? Commenta Becchetti: «Le Pmi sono trascinate nella sostenibilità e nella rendicontazione/reportistica ad essa collegata qualche volta obtorto collo. Le grandi imprese ed ora anche le medie sono obbligate alla rendicontazione finanziaria che ha assunto via via regole più stringenti come quelle di includere nella misurazione tutti gli attori della filiera. Per le Pmi la rendicontazione ESG è un costo fisso che ovviamente pesa di più sui conti economici che per le grandi imprese. È necessario mettere in campo strumenti agili che abbattano questi costi. Con Next Nuova economia per tutti, l’associazione di promozione sociale multistakeholder che mette assieme diversi attori della società civile abbiamo costruito un modello di autovalutazione partecipata che abbatte di molto questi costi ed è fondato su alcuni passi molto semplici. Il vantaggio è anche quello di avere immediato riscontro e partecipazione degli stakeholder e dunque sostegno del territorio».
PRODUTTIVITÀ: RUOLO DELLA FORMAZIONE E IMPATTO DELL’AI

Invecchiamento, produttività e cambiamenti strutturali del mercato del lavoro: il processo di invecchiamento della popolazione esce dal perimetro meramente demografico per ripercuotersi sull’economia e sul mercato del lavoro. In particolare, gli effetti dell’invecchiamento della forza lavoro incidono sulla produttività delle imprese mettendo in luce il ruolo specifico della formazione per il rischio di obsolescenza delle competenze.
«Il mondo economico e produttivo è sempre più “Schumpeteriano”, ovvero caratterizzato da accelerazioni nei processi di creazione e distruzione di posti di lavoro da un settore all’altro per il ritmo sempre più veloce del progresso tecnologico e la grande rivoluzione dell’intelligenza artificiale – chiarisce Becchetti – È evidente che in un mondo come questo diventi centrale la riqualificazione della forza del lavoro e la formazione lungo tutta la vita (lifelong learning) come strumento di difesa e protezione del lavoro. Fondamentali saranno i compiti degli enti intermedi come Confartigianato e Artser per ridurre il mismatch, ovvero la compresenza di posti di lavoro vacanti e disoccupati, attraverso percorsi di formazione rapidi ed efficaci».
La via delle competenze avvantaggia l’innovazione produttiva e tecnologica delle Pmi, condizionando di riflesso produttività e Pil. Secondo il recente studio “AI 4 Italy: from theory to practice - Verso una politica industriale dell’IA Generativa per l’Italia” condotto da The European House Ambrosetti Group, l’intelligenza artificiale può far crescere il Pil italiano del 18,2% con netti miglioramenti in termini di produttività soprattutto per le piccole e medie imprese e il settore manifatturiero.
Un futuro di benessere o nuove disparità? «Anche io penso che siamo di fronte ad un’occasione straordinaria di aumento della produttività e della creazione di valore aggregato. La gran parte di noi conviverà o ha già imparato a convivere e collaborare con l’AI nello svolgimento di parte delle sue mansioni di lavoro. Come in ogni grande rivoluzione tecnologica i rischi di aumento di diseguaglianze senza un intervento della politica sono altissimi. Il divario più grande sarà tra chi è in grado di lavorare con AI e chi no – conclude Becchetti – Questa esclusione si combatte con la formazione e, laddove non si riesce, con reti di welfare e di protezione sociale per le quali avremo a disposizione risorse importanti. Mi aspetto un ruolo maggiore per misure d’inclusione soprattutto se ci sarà favore, comprensione ed aiuto da parte delle banche centrali». Paola Mattavelli