Competenze per l’intelligenza artificiale: mancano 362 mila lavoratori

L'AI accelera la transizione digitale, ma senza talenti qualificati i progressi rallentano. Ecco come superare l'ostacolo

Intelligenza artificiale nelle Pmi 1

La domanda di lavoro sostiene i processi di crescita, vero, ma se c’è il lavoro e mancano i lavoratori il percorso verso la competitività e una maggiore produttività è fatto di ostacoli. Le imprese continuano senza sosta a cercare competenze adatte per affrontare le transizioni digitali e green, ma la manodopera necessaria si trova a fatica. Così, sono gli stessi imprenditori ad interrogarsi sul come e cosa fare per attrarre talenti e per trattenere in azienda coloro che posseggono esperienze e skills elevate. In tutto questo, cosa c’entra l’Intelligenza Artificiale?

La domanda sa di retorico, perché è consolidato il fatto che implementare questi sistemi in azienda ha un impatto rilevante sul mercato del lavoro e genera opportunità e forme di collaborazione nella gestione delle piccole imprese. Ma se da un lato la IA gioca un ruolo sostanziale, dall’altro la mancanza di lavoratori qualificati ne inceppa i processi.

ITALIA QUARTA IN EUROPA

Intelligenza artificiale nelle Pmi 1

I dati elaborati da Confartigianato Imprese ci dicono che in Italia il 36,2% del totale degli occupati subirà l’impatto delle profonde trasformazioni tecnologiche e dei processi di automazione. Una percentuale, quella italiana, inferiore di 3,2 punti rispetto al 39,5% della media europea di lavoratori maggiormente esposti all’IA. Stanno peggio di noi Germania e Francia rispettivamente al 43% e al 41,4% di lavoratori in bilico e il Lussemburgo con addirittura il 59,4%, seguito da Belgio al 48,8% e Svezia al 48%.
Sono 125 mila le micro e piccole imprese pioniere dell’IA: si tratta del 12,6% delle imprese tra 3 e 49 addetti che nel biennio 2021-2022 ha utilizzato una o più soluzioni di intelligenza artificiale. L’analisi dei dati Eurostat evidenzia che l’Italia è al quarto posto in Ue a 27 per quota di piccole imprese che utilizzano robot: il 6,9% contro il 4,6% della media europea, il 6% della Francia e il 3,5% della Germania. Inoltre, il 5,3% delle Pmi usa sistemi di intelligenza artificiale e il 13% prevede di effettuare nel prossimo futuro investimenti nell’applicazione dell’IA.

LE PROFESSIONI PIÙ ESPOSTE

Intelligenza artificiale nelle Pmi 1

Le professioni più esposte sono quelle maggiormente qualificate e a contenuto intellettuale e amministrativo:

  • Tecnici dell’informazione e della comunicazione
  • Dirigenti amministrativi e commerciali
  • Specialisti delle scienze commerciali e dell’amministrazione
  • Specialisti in scienze e ingegneria
  • Dirigenti della pubblica amministrazione

Tra le attività lavorative a minor rischio vi sono quelle con una componente manuale non standardizzata.

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E ARTIGIANA

Intelligenza artificiale nelle Pmi 1

Con lo sviluppo dei sistemi di IA si delineano, oltre a fenomeni di polarizzazione del lavoro e di disparità di reddito, anche una prevalenza di processi di collaborazione tra lavoratori e sistemi di IA rispetto alla sostituzione degli input di lavoro. Vi sarà un riequilibrio del portafoglio delle competenze imprenditoriali, un fenomeno più marcato per le piccole imprese nelle quali l’imprenditore accentra su di sé attività caratteristiche di professioni maggiormente orientate alla collaborazione con l’IA. L’intelligenza artificiale si fonderà in modo collaborativo con l’“Intelligenza Artigiana” degli imprenditori.
Marco Granelli, presidente di Confartigianato: «L’intelligenza artificiale è un mezzo, non è il fine. Non va temuta, ma va governata dall’intelligenza artigiana per farne uno strumento capace di esaltare la creatività e le competenze, inimitabili, dei nostri imprenditori. Non c’è robot o algoritmo che possano copiare il sapere artigiano e simulare l’”anima” dei prodotti e dei servizi belli e ben fatti che rendono unico nel mondo il made in Italy».

COSA FRENA LA TRANSIZIONE DIGITALE

Vediamo quali erano le esigenze delle imprese nel 2023:

  • Gli imprenditori prevedevano l’entrata di 699mila lavoratori con una elevata richiesta di competenze digitali avanzate 4.0
  • Più della metà (51,8%) risulta di difficile reperimento: 362mila lavoratori con competenze per gestire tecnologie di intelligenza artificiale, cloud computing, Industrial Internet of Things (IoT), data analytics e big data, realtà virtuale e aumentata e blockchain
  • La quota sale al 54,9% per le micro e piccole imprese che richiedono queste competenze

LE REGIONI PIÙ COLPITE

La carenza di manodopera necessaria per gestire i processi più sofisticati della transizione digitale delle imprese è più marcata in Trentino-Alto Adige con il 65,8% delle entrate, in Friuli-Venezia Giulia con il 62,6%, in Umbria con 60,3% nelle Marche con 57,1%, in Veneto con 56,3% e in Emilia-Romagna con 55,8%. La quota superiore alla media interessa anche la Toscana con 54%, la Liguria con 53,1%, il Piemonte con 53%, la Lombardia con 52,3% e l’Abruzzo con 52%. Nella top five delle province dove il mismatch tra domanda e offerta di personale con elevate competenze per applicare le tecnologie 4.0 è più marcato si trovano Bolzano con il 69,2% delle entrate difficili da reperire, Trieste con 68,3%, Terni con 67,5%, Udine con 66,5%, Cuneo con 66%.