«Un buon design è un buon business». Thomas Watson Junior, già presidere di Ibm, lo diceva 50 anni fa e ci aveva visto lungo. Ormai la figura del designer trascende il mero “esteta”, quello che si limita a dare un aspetto accattivante a un prodotto che funzionerebbe comunque. Il designer è parte integrante del processo produttivo; è un investimento. «Non è solo costruzione del bello ma cambiamento del paradigma e dell'organizzazione aziendale e traino della transizione ecologica per le aziende. I dati confermano: le aziende che si affidano al design diventano più competitive». I motivi li spiegano i due ospiti della diretta Item di Imprese e Territorio. Giorgio Caporaso, architetto, designer & ecodesigner e Davide Baldi, responsabile Faberlab (il Digital Innovation Hub di Confartigianato Imprese Varese) illustrano «perché e come sfruttare il design nelle Pmi».
«Pochi giorni fa – esordisce Caporaso – leggevo una ricerca ADI, design museum di Milano, per farmi un’idea aggiornata, Ecco, in Italia abbiamo 30 mila imprese attive nel settore del design. Il nostro Paese è il primo tra le grandi economie europee a investire in tal senso, e il design è un marchio di fabbrica del Made in Italy e contribuisce all'alta attività dei nostri prodotti a livello internazionale: è grazie al design se il Made in Italy è tra i marchi conosciuti al mondo. Nel 2016 il settore del design fatturava oltre 25 miliardi l’anno, e un’impresa su 6 al mondo è italiana. Il rapporto tra imprese e design è fondamentale e può diventarlo anche per le Pmi, anche nella costruzione di rapporti esterni all’azienda». Baldi ha aggiunto che il design è la base che guida l'impresa: ormai segue tutto il prodotto e influisce sull'azienda. Un lavoro di design è di squadra dove partecipano anche non designer.
Ancora Caporaso, questa volta sul concetto sempre più centrale di “sostenibilità”: «L'aspetto della sostenibilità ambientale non è solo un problema urgente, ma è il problema principale. Si tenga conto che nello schema fornito dalla Comunità Europea prima si parla di “materie prime”, ma subito dopo di progettualità e design. Molti ancora non sanno definire cosa s'intenda per economia circolare, ma l'approccio rigenerativo è già una completa rivoluzione perché si muove su risorse potenzialmente illimitate».
Ormai va cercata una complicità tra aziende e progettista perché il design, lungi dall’essere ancora mera forma e mero stile, è un’attività molto più complessa. Si sta affermando la figura del designer che si affianca per stabilire la progettazione globale dell'impresa. Alcuni pensano sia una spesa e non un investimento, ed è errato. Baldi: «Un'azienda produttiva tende a sedersi, a fare quel che già sa fare, a non innovare. La sfida vera arriva sempre dall'esterno. Il design anticipa dei concetti e obbliga me e l'azienda a trovare soluzioni a cui non penserei».
Un pensiero chiave, che riassume tutta l’intervista e che ha messo d’accordo i due ospiti. «Non si è evoluto il processo del design – così Caporaso – ma è il design ad essere in evoluzione, di natura. Si è evoluta la comprensione del ruolo del designer, non solo quello della “bella forma”. Si è compreso che sia un'attività progettuale molto più profonda che può portare a un vantaggio globale. Il designer, da sempre abituato a gestire situazioni di complessità, cerca di stimolare l'impresa a migliorare e aiuta a cercare imprese che vogliono collaborare». La sintesi, come sempre, la offre Baldi. «Forse i designer sono figure un po' scomode nel senso positivo, perché stimolano a rompere la barriera che ti sta bloccando. Se tu farai sempre le cose nel solito modo… farai sempre le solite cose». Gli approcci novecenteschi ormai sono obsoleti, in tutto.
Ormai ai designer viene chiesta non solo la definizione e lo stile del prodotto, ma anche l’apporto di innovazione al prodotto e al servizio stesso. Come al solito gli italiani si differenziano: non solo rapporti col marketing, ma anche fiduciari con la proprietà dell’azienda. Le imprese che vogliono usare un designer devono conoscere la sua profondità: non solo l’aspetto stilistico. Ormai lo abbiamo capito, c’è molto di più.
«Sei disposto a spendere di più – chiarisce Baldi – se un prodotto si classifica come sostenibile, e la sostenibilità nasce dal designer. Ovviamente non sono da trascurare funzionalità, comodità, bello: la produttività la aumenti anche con pulizia e organizzazione aziendale e con un approccio sempre multidisciplinare. Non esiste più il “faso tuto mi” di vecchia memoria». Conclude Caporaso: «Come in tutti i settori anche la disciplina del design si è evoluta. Sono un convinto sostenitore che il designer e il progettista non debbano essere specializzati solo nell'aspetto tecnico o tecnologico e che la figura del designer sia un investimento, non una spesa, esattamente come l’acquisto di un macchinario nuovo, con la differenza che la persona orienta anche i processi di decisione».