Siamo piccole ma cresceremo: la formazione fa diventare grandi i giovani e le Pmi

Siamo piccole ma cresceremo: la formazione fa diventare grandi i giovani e le Pmi

di Francesco Angelini

«Noi siamo piccoli, ma cresceremo» cantava un tempo lontano Renato Rascel, che, circondato da bambini, ironizzava sulla sua non eccelsa statura. Ecco, in quella sigla di un vecchio programma della Rai c’è qualcosa di attuale che riguarda il rapporto tra piccole e medie imprese e giovani. Perché il piccolo Rascel era un grande uomo di spettacolo e, in quel contesto, dava modo ai giovani che lo circondavano di apprendere le sue virtù non solo artistiche e di crescere.

Le piccole imprese sono così. Va solo integrato il tempo verbale: non solo “cresceranno”, ma anche “sono cresciute”. Anche negli ultimi tempi, nonostante le tante difficoltà più congiunturali che non strutturali. La crescita è testimoniata anche dai numeri. Nel 2023, “annus (quasi) horribilis” per gran parte dell’economia, le piccole e medie imprese lombarde hanno comunque chiuso con un saldo anagrafico positivo del 2,1%. E il comparto impiega il 78% della forza lavoro regionale con 3,5 milioni di addetti. Tra questi, vi sono i giovani.

Rispetto all’epoca di Rascel, c’è un apparente paradosso. L’innovazione e l’automazione nel lavoro hanno portato al centro dell’attenzione il capitale umano dopo la definitiva messa in soffitta del modello fordista.

Per chi si affaccia per la prima volta nel mondo del lavoro, la piccola impresa rappresenta una palestra fondamentale. Perché qui, più che altrove, vi è la consapevolezza del ruolo decisivo che svolge la formazione. Quella che magari, ancora, il sistema scolastico professionale non riesce a erogare in maniera adeguata e aderente alle attuali esigenze produttive.

Ecco allora che per il giovane, che ha comunque ricevuto un’infarinatura non trascurabile, nel suo percorso scolastico, vi è l’opportunità di completarsi con l’esperienza sul campo, il contatto più stretto con i colleghi esperti come non può, logicamente, avvenire nelle imprese di dimensioni importanti, e una formazione tecnica pratica sui macchinari e/o il software.

L’obiettivo, comune tra chi offre il lavoro e coloro che lo ricevono, è quello di creare una forza più produttiva e innovativa, ma anche, nell’ottica dell’impresa con ricadute non trascurabili sui lavoratori, una riduzione dei costi determinata da una migliore gestione delle risorse umane.

Nelle piccole imprese la fidelizzazione, prima di tutto nei confronti del cliente, ha un’importanza fondamentale. Lo stesso know how può essere applicato ai giovani lavoratori, che, come giustamente sottolinea Confartigianato Varese, non sarebbero “pezzi di ricambio”, bensì “pezzi unici”, non facilmente sostituibili. Insieme, giovani lavoratori e piccole imprese potrebbero anche essere in grado di affrontare le sfide dell’oggi che riguardano soprattutto una concorrenza internazionale è sempre più agguerrita e un ritmo dell'innovazione tecnologica più rapido che richiede perciò competenze specifiche. Un’altra opportunità per i più giovani e l’innegabile invecchiamento della forza lavoro, spinto dallo spostamento in avanti dell’approdo pensionistico che si accompagna alla mancanza di figure professionali e qualificate.

Last but not least, la flessibilità organizzative che nelle piccole imprese è giocoforza superiore a quella dei comparti produttivi di grandi dimensione e può venire incontro alle esigenze sempre più manifestate dai giovani in termini di smart working, settimana corta, ma anche organizzazione modulare dei processi produttivi. Ricordate il vecchio manifesto statunitense per l’arruolamento “I want you per Usa Army”? Ecco, si può riprodurre, attualizzare e tradurre in “Giovane, ti vogliamo nelle piccole imprese”. Anche perché con quello slogan e l’impegno di tutte le parti, la guerra era stata vinta. E oggi va vinta quella di un mercato che ha esigenze nuove, vorrebbe da dire, e con cognizione di causa, “giovani”.