La formazione, se gestita in modo adeguato, può dare un contributo importante e concreto dal punto di vista economico (e non solo). In quest’ottica è fondamentale che le Pmi adottino un approccio mirato e trasversale a questo settore, cercando di analizzare e quantificare il più possibile i risultati legati alle diverse scelte effettuate. Il tutto con l’obiettivo di affrontare in modo efficace le sfide urgenti di un contesto economico sempre più incentrato sulla digitalizzazione e sulla sostenibilità.
Di questi temi abbiamo parlato con Fabio Antoldi, professore di Strategia Aziendale e Imprenditorialità alla Facoltà di Economia e Giurisprudenza dell'Università Cattolica (sede di Piacenza e Cremona) e direttore del Cersi, il Centro di ricerca per lo sviluppo imprenditoriale dell’ateneo.
Che tipo di attività formative sono più utili alle imprese? Quale approccio risulta più efficace?
Bisogna fare innanzitutto una premessa: quando si parla di formazione nelle piccole e medie imprese si fa riferimento ad attività con target molto differenti tra loro. In primo luogo, c’è una formazione di natura normativa, obbligatoria, di fatto necessaria a continuare a svolgere la propria professione. Si tratta ad esempio delle tipiche giornate di formazione, di aggiornamento su nuove disposizioni di legge o procedure professionali da seguire.
C’è poi una formazione legata al potenziamento delle conoscenze e abilità gestionali, che oggi i titolari delle imprese e i loro collaboratori più stretti devono necessariamente sviluppare. Mi riferisco ad esempio al marketing, al controllo di gestione, alla gestione dei collaboratori, ma anche all’evoluzione delle tecnologie e ai nuovi trend di mercato. Si tratta, insomma, di occasioni utili e necessarie per comprendere l’evoluzione dello scenario economico, attraversato da trasformazioni epocali, e per attrezzarsi per tempo ad affrontarla con successo.
Bisogna essere consapevoli, infatti, che la micro, piccola e media impresa sta vivendo una fase di crisi importante, soprattutto in alcuni comparti. Il “fare impresa” per molti sta diventando complicato. In quest’ottica una formazione meno tradizionale, più orientata al futuro e basata su competenze meno verticali sta diventando assolutamente centrale.
Qual è quindi in concreto l’approccio più efficace ai temi della formazione?
Innanzitutto le singole imprese devono mettere chiaramente a fuoco i propri specifici bisogni di formazione, che spesso non sono solo la risposta a necessità di breve termine legate, per esempio, al rispetto di nuove norme. L’imprenditore deve sapersi interrogare sul proprio futuro, in relazione alle minacce e alle opportunità portate dai cambiamenti e all’adeguatezza delle sue competenze. In altre parole, occorre adottare un approccio strategico alla formazione e chiedersi cosa è necessario saper fare in futuro (di più, di meglio o di diverso rispetto ad oggi) per poter sopravvivere e avere successo domani e tra 3-5 anni.
Una parte del settore imprenditoriale - a partire da quello manifatturiero - è infatti sotto forte pressione da un punto di vista competitivo e mostra performance non soddisfacenti. Spesso non è solo una questione di aumento dei costi, ma di modello di business da cambiare. In questo contesto di mercato difficile la sfida prioritaria è incrementare la competitività e la produttività attraverso il rinnovo delle competenze aziendali, incluse le “soft skills” dell’imprenditore.
Questo tipo di formazione non può basarsi solo sul trasferimento di contenuti in aula, ma piuttosto deve combinare l’uso ibrido di nuovi strumenti di formazione online e di soluzioni pratiche di accompagnamento diretto dell’imprenditore sul campo. È una formazione che può impiegare in modo utile anche tecniche di coaching, mentoring, action learning (in cui c’è un'aula condivisa con altri imprenditori) ed esercitazioni pratiche. È opportuno privilegiare soluzioni che prevedano l'immediata applicabilità in azienda dei nuovi concetti appresi.
Lei ha menzionato l’importanza delle soft skills. Nello specifico quali di queste competenze vanno inserite in un programma di formazione efficace?
Sicuramente non può mancare un lavoro di sviluppo dello “spirito imprenditoriale”, ovvero della capacità di sviluppare il modello della propria impresa a partire da idee innovative che vanno nella direzione dei trend del mercato (locale o globale che sia) e che facciano leva sulle trasformazioni che stiamo vivendo attorno a noi. Oggi, infatti, l’imprenditore piccolo e medio non può essere solamente un “artista della manualità” a disposizione di clienti che vanno a cercarlo ma deve essere un leader capace di guidare un team di persone motivate, allineate e capaci di innovare, andando incontro in modo proattivo ai mutamenti del mercato. Ciò in concreto vuol dire lavorare di più sullo spirito imprenditoriale delle persone.
Un altro tema chiave è poi la comunicazione. Oggi l’imprenditore deve cercare e trovare in modo proattivo i suoi clienti, non può più aspettare che siano loro a cercarlo. Per questo motivo la comunicazione e il marketing, in particolare quello digitale, sono competenze centrali per il futuro.
Non è nemmeno da trascurare la capacità dell’imprenditore di avere curiosità ed esercitare pensiero critico, assumendo l’attitudine ad entrare nei problemi in modo differente, avanzato, sempre nuovo, puntando ad andare oltre la tradizione e mettendosi in gioco su nuove sfide.
Infine, è importante valorizzare la creatività. Noi abbiamo sempre pensato che la creatività fosse una prerogativa tipica solo dell'artigianato artistico, cioè quello in cui prevalgono estetica e manualità. Invece, in un mondo in perenne cambiamento, la creatività e l'innovazione stanno diventando un requisito per l’intero settore. Anche l’idraulico, l’elettricista e gli altri professionisti della casa, ad esempio, possono essere creativi, nella misura in cui approcciano in modo innovativo il concetto di abitazione, introducendo l’innovazione nel loro lavoro grazie alla domotica o a soluzioni e prodotti orientati alla sostenibilità. Occorre innovare, sperimentare, cercare le soluzioni più nuove sul mercato.
Riassumendo, ritengo che tra le soft skills più importanti siano leadership, creatività, problem solving, capacità di adattamento e innovazione. A queste si aggiungono poi le competenze nella gestione delle risorse umane, che stanno diventando sempre più critiche per mantenere i propri collaboratori e attrarre giovani talenti.
Come si analizza il vantaggio economico legato a una formazione efficace? Quali parametri nello specifico bisogna prendere in considerazione?Il
vantaggio economico generato da una formazione adeguata è legato al raggiungimento di obiettivi strategici che possono essere legati al fatturato, alla tipologia dei clienti, ai target di penetrazione su segmenti di mercato specifici, ma anche alla fidelizzazione della clientela e alla retention, ovvero al mantenimento della fiducia e della fedeltà dei collaboratori.
Si tratta di indicatori tipicamente aziendali, che coprono vari bisogni e che vanno declinati in una logica di pianificazione del proprio futuro. Purtroppo, però questo modo di ragionare “in avanti”, strategico, non è pienamente diffuso. Anche le imprese piccole e medie hanno invece bisogno di una loro pianificazione e della misurazione delle performance, elementi legati a doppio filo anche alle riflessioni sulla formazione.
Può fare un esempio concreto di un parametro che può essere valutato per quantificare il contributo di una formazione efficace al miglioramento della competitività aziendale?
Certamente l'andamento dei ricavi, la capacità di aumento della propria quota di mercato, il miglioramento della qualità dei clienti e la loro fidelizzazione sono elementi importanti da monitorare.
Non vanno trascurati poi tutti quei parametri legati al personale aziendale. Questo vale soprattutto per le imprese più strutturate in termini di età media e di set di competenze. Entrando più in dettaglio si può citare la capacità di trattenere le risorse umane o di attrarne di nuove con un profilo elevato e il livello di soddisfazione dei clienti e dei dipendenti.
C'è poi il tema della redditività. Per fare impresa in continuità aziendale, ovvero per avere una capacità di rimanere sul mercato, bisogna avere anche dei livelli di redditività, in termini di utile netto, in linea con il mercato. Anche in questo caso si tratta di obiettivi misurabili e ben definiti, che passano dalla qualità delle risorse umane e dalle loro competenze.
Riassumendo quanto detto finora quali sono gli elementi che possono quindi fare la differenza per le Pmi?
La qualità del capitale umano è l'elemento centrale per un'esperienza imprenditoriale di successo. Il mondo sta cambiando. Ma purtroppo nelle imprese - anche quelle più grandi, più strutturate - c'è ancora una certa fatica ad affrontare in modo mirato le sfide della digitalizzazione e dell'economia green.
Un’altra questione chiave è poi quella della successione generazionale. Qui lo scenario è preoccupante. Molte imprese non riescono a essere attrattive per i giovani, a partire dai figli degli stessi imprenditori artigiani, che spesso non rimangono a lavorare nell’azienda di famiglia. Questa situazione richiede un cambiamento della cultura aziendale molto forte. La formazione, anche in questo, può dare una mano. Monica Giambersio