Il motore si è inceppato. La Germania non se la passa affatto bene: quello che per tantissimi anni è stato considerato un modello vincente di industrializzazione, ora rischia di lasciare a terra ambizioni e progetti futuri. E l’Europa trema, perché se la Germania non ritroverà un suo equilibrio – economico ma anche politico – le sfide economiche per tutte le altre economie europee non dovranno che intensificarsi. E la speranza di ritornare ad una Europa a crescita robusta scivolerà in avanti nel tempo.
Dallo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina, la Germania – che con la Russia ha rotto del tutto i rapporti commerciali - non è stata più la stessa.
Il primo problema della crisi tedesca: il rialzo stellare dei costi degli approvvigionamenti energetici. Ma, come dice Clemens Fuest, presidente dell’Istituto di ricerca Ifo ed uno degli economisti tedeschi più influenti, «anche il calo demografico, le tasse elevate, i cambiamenti strutturali dell’industria automobilistica e un crescente protezionismo». La soluzione? «Ridurre la burocrazia, deregolamentare, tagliare le tasse, digitalizzare la PA, stabilizzare gli investimenti nelle infrastrutture e governare la graduale transizione verso la mobilità elettrica e a guida connessa». (Fonte: Il Giorno)
Industria automobilistica: nessuno avrebbe mai pensato che colossi di nome Volkswagen, BMW e Mercedes-Benz potessero ridurre la produzione e tagliare migliaia di posti di lavoro. Non lo si sarebbe mai detto neppure di Schaeffler, colosso specializzato nella produzione di componenti, oppure di Continental, Bosch o ZF: la parola del 2024 che ricorderà la Germania è “tagli”.
Così la ricorderanno anche le piccole e medie imprese dell’indotto, che per il Colosso dell’automobile – dopo la Finlandia, tra il 2019 e il 2023 la Germania è il Paese della UE con la più bassa crescita del Pil - hanno sempre lavorato.
Così la ricorderanno anche tante aziende tedesche che, nel mezzo del guado, si stanno rivolgendo sempre più spesso ad acquirenti stranieri, per far fronte a inefficiente operative e ritardi, oppure spostano gli investimenti all’estero per tentare una crescita globale. Deutsche Bahn, operatore ferroviario nazionale, ha venduto alla rivale danese DSV; Techem, fornitore di servizi energetici, è stata venduta al gestore patrimoniale americano Tpg; UniCredit sta puntando con sempre maggiore determinazione a Commerzbank e Basf sta costruendo uno stabilimento in Cina.
La crisi dell’auto e le incertezze nella transizione alla mobilità elettrica hanno reso più vulnerabile la manifattura tedesca, fortemente concentrata sulla produzione automobilistica. In Germania, infatti, l’auto rappresenta il 15,4% del valore della produzione manifatturiera: la media europea è del 7,6%. Inoltre, nelle imprese automobilistiche tedesche lavorano 569 mila addetti, più della metà (52,2%) degli occupati del settore di tutta l’Unione europea.
Dal varo del Green Deal europeo, che ha deciso l’azzeramento delle emissioni di CO2 per i veicoli nuovi entro il 2035, la produzione di auto nell’Unione europea si è decimata, scendendo del 10,6% tra il 2019 e il 2023, con una accentuazione in Germania: -12%. La crisi tedesca dell’auto, però, risale al quinquennio 2015-2019, quando si registrò una perdita di produzione del 9,8%.
Anche la Cina non cresce più come un tempo. Meglio, non lo fa secondo il termometro cinese: nel 2024, infatti, il tasso di crescita del Pil è “solo” del 4,9% e, probabilmente, scenderà ad un +4,5%. Questa crescita, senza dubbio ridimensionata, frena la domanda dei prodotti tedeschi. Ed è un’altra, inimmaginabile, frenata perché la Germania concentra da sola il 43,3% dell’export verso la Cina di tutta l’Unione Europea. Così, nei primi sette mesi del 2024 le imprese tedesche hanno segnato -2,8% di vendite sul mercato cinese. Ma nel 2023, il crollo era stato dell’8,9%. Un’altra riflessione occupa il dibattito: la Cina è diventata uno dei principali competitor della Germania perché sta scalando le catene del valore e sottrare quote di mercato ai produttori europei. Anche nel settore automobilistico.
La Germania è il primo mercato delle esportazioni italiane con 72,2 miliardi di euro nel 2024: l’11,5% del valore del Made in Italy venduto nel mondo. Ma nei primi sette mesi di quest’anno, l’export verso la Germania è sceso del 5,4% e le imprese italiane hanno perso 12 milioni di euro al giorno di vendite sul mercato tedesco.
I settori che stanno soffrendo più di altri dello stallo tedesco sono:
Ma ce ne sono altri in netta controtendenza: la chimica (+2,5), l’alimentare e bevande (+4,3%) e la farmaceutica (+12,3%).
Tra le regioni con un maggiore rapporto tra export in Germania e PIL, nei primi sei mesi del 2024 si registrano forti cali dell’export manifatturiero in Abruzzo (-14%), Piemonte (-11,4%), Friuli-Venezia Giulia (-10,5%) e Veneto (-9,3%). Ma cali importanti interessano anche la Lombardia (-5,6%) e l’Emilia-Romagna (-4,7%). Tra le venti, maggiori, province esportatrici i cali delle vendite sul mercato tedesco sono addirittura a doppia cifra. E in quinta posizione si trova Varese con -12,5%.
Sempre secondo Clemens Fuest, «la debolezza dell’economia tedesca è diventata cronica» e il gigante d’Europa è ormai addormentato. A dirlo sono i dati elaborati da Confartigianato Imprese: nel 2024, la dinamica degli investimenti in Germania è al -1%. Ma anche prima della pandemia il tasso medio di crescita degli investimenti nel Paese (+2,6%) è stato inferiore alla media Ue (+4,5%). A frenare la crescita tedesca è anche la bassa accumulazione di capitale privato e pubblico, che influenza negativamente i processi di innovazione e le transizioni digitale e green e indebolisce la dotazione infrastrutturale (la poca spesa per le infrastrutture pubbliche ricade sulla qualità dei servizi) e l’efficienza della PA. Secondo dati Eurostat, in Germania nel 2023 il 40,1% dei cittadini interagisce via internet con la PA: la media europea è del 54,3.
Il governo tedesco vede un 2025 all’insegna della crescita con un aumento del Pil dell1,1%. Entro il 2026, la quota potrebbe raggiungere l'1,6% grazie, soprattutto, alla ripresa dei consumi privati e alla stabilizzazione dell'inflazione. Ma sul tavolo ci sono scelte, difficile, da fare. A partire da un modello produttivo del tutto nuovo, e ridefinito, che sappia sfruttare tutte le potenzialità delle transizioni green e digitale supportato, però, da politiche industriali e sociali con le quali sostenere le imprese e i loro collaboratori in questa fase di passaggio. Ciò che serve alla Germania, per usare ancora le parole dell’economista Fuest, «è un’agenda complessiva dedicata alla crescita. Investire, lavorare e creare nuove imprese su territorio tedesco dovrà essere nuovamente attrattivo». Ma all’orizzonte avanza un’altra nube: quella dei dazi che Donald Trump, neopresidente USA, vorrebbe imporre all’Europa. Davide Ielmini