di Marilena Lualdi
Le imprese, a partire da quelle piccole, non sono solo l’ossatura del Paese: ne costituiscono il cuore in senso “fisico” e simbolico, il motore costante e silenzioso, o meglio spesso non ascoltato. Proprio per questo motivo, rilanciare il tessuto economico cittadino passa da una leva precisa che le riguarda e che ha poi un effetto benefico esteso: dare maggiore slancio alla produttività.
Un ricostituente a quello che già è il soggetto sano, spesso sorprendente nel dedalo di problemi, questioni internazionali e nazionali che interferiscono nel suo percorso quotidiano, l’immancabile burocrazia e molto altro. Eppure, in un contesto che diventa sempre più sfidante, si ha bisogno di ulteriori energie e soprattutto strategie.
Che cosa significa aumentare la produttività oggi? E come farlo in maniera efficace? Tutta questione di tecnologia, intelligenza artificiale in testa? Indubbiamente, questa – se ben manovrata – può essere in parte la leva capace di influire positivamente.
Ma va anche ricordato che centrale (e chi meglio delle piccole imprese ne è consapevole) resta il fattore umano. Le competenze allora. Sì, ma non solo: sempre più i collaboratori presentano l’esigenza di “sentirsi bene” nell’ambiente in cui prestano la propria opera. Lo mette a fuoco lo studio “Produttività e benessere organizzativo: le imprese di fronte alle nuove sfide del mercato del lavoro” realizzato da The European House - Ambrosetti e Jointly , prima B Corp® in Italia nel Corporate Wellbeing: «Il corporate wellbeing, ovvero l’insieme organico e sinergico di servizi e soluzioni che le imprese implementano per migliorare il benessere organizzativo e personale dei propri collaboratori, può offrire un contributo concreto alla crescita aziendale, non solo in termini di aumento della produttività, ma anche di contenimento dei costi». Due elementi, questi ultimi, che uniti sono un potente detonatore.
Ma soffermiamoci sul nostro tema chiave. Le strategie di corporate wellbeing – sempre secondo lo studio – possono portare un vantaggio misurabile: ovvero un incremento del 20% di produttività rispetto alla media delle aziende che invece non ne fanno ricorso. Detto in altre cifre, un Valore Aggiunto per addetto che sfiora i 60mila euro: la media attuale è pari a 50mila euro.
Capovolgendo il discorso, laddove non c’è appartenenza (se non si sfocia addirittura in aperto malessere) la produttività non può che calare inesorabilmente. La mancanza di flessibilità e la scarsa attenzione alla conciliazione dei tempi di vita e lavoro incidono in questo scenario.
La tecnologia, e le relative competenze, esercitano però un ruolo altrettanto decisivo. La ricerca PwC’s 2024 Global AI Jobs Barometer evidenzia non solo la netta crescita di richiesta di competenze specialistiche in AI per ogni offerta di lavoro, ma anche l’impatto sulla produttività. Pure in questo caso, misurabile. I settori con una maggiore penetrazione dell’AI – si ribadisce - stanno vivendo una crescita della produttività del lavoro quasi cinque volte superiore (4.8, per la precisione) rispetto ad altri comparti. Una rivoluzione che si percepisce anche in Italia: nel 2012, erano tre su mille i posti di lavoro che richiedevano competenze AI. Già cinque anni dopo, cinque su mille. Una tendenza in drastico aumento, ma in questo contesto mancano alcuni dati, quali i premi salariali.
Del resto, sono i dati Eurostat a mettere in luce come le imprese italiane tardino nell’adottare strumenti di intelligenza artificiale. Prendendo in considerazione lo scorso anno, nel nostro Paese appena il 4,4% delle aziende con 10-49 dipendenti ha potenziato almeno uno degli strumenti di intelligenza artificiale a disposizione: la media europea è pari al 6,4%.
Un blocco culturale, come viene da più parti osservato? Sì, ma è un concetto che si può estendere alla produttività tout court. Troppo spesso ci si sofferma a guardare – ed elencare – gli ostacoli a questo percorso di crescita e non si investono le medesime energie nell’individuare le strategie per andare oltre o tracciare strade alternative.
Lo definisce anche uno studio del dicembre 2023 emesso dalla Banca d’Italia: la debole crescita dell'economia italiana riflette quella della produttività del lavoro. Qui pesa la debolezza della ripresa degli investimenti dopo la doppia crisi (finanziaria e dei debiti sovrani) – si afferma – anche se sono avvenuti almeno sui beni intangibili, più legati all'innovazione, dal 2020.