di Gianfranco Fabi
Per descrivere il modo a cui spesso si guarda ai temi della demografia la metafora più efficace è probabilmente quella, spesso evocata, della rana, una metafora che trae spunto da una ricerca addirittura del 1882 della “John Hopkins University”. Durante un esperimento, condotto senza troppo rispetto per gli animali, si notò che lanciando una rana in una pentola di acqua bollente, questa inevitabilmente saltava fuori per trarsi in salvo. Al contrario, mettendo la rana in una pentola di acqua fredda e riscaldandola lentamente la rana finiva inevitabilmente bollita.
Vero o falso, ma comunque efficace, questo aneddoto dimostra come cambiamenti impercettibili di giorno in giorno possono provocare effetti dirompenti nel lungo termine. È quanto avviene con l’andamento demografico della nostra società, un andamento con due, molto evidenti, dimensioni contrapposte: da una parte il sempre più sensibile calo delle nascite, ridotte a quasi un terzo rispetto a quelle degli anni del baby boom del dopoguerra, dall’altra la crescita della vita media e della speranza di vita con una fascia di “anziani” sempre più ampia con notevoli ripercussioni sulle politiche (e sulle spese) sanitarie e previdenziali.
Ma questa realtà porta con sé altri effetti, non solo per la dimensione politico-sociale, ma anche in quella economico-imprenditoriale, effetti che sono a loro volta portatori di rischi e opportunità.
Come ha ricordato Ferruccio De Bortoli sul Corriere della Sera, citando uno studio internazionale Knight Frank, gran parte della ricchezza finanziaria e immobiliare appartiene ora a persone che hanno più di 70 anni, nate soprattutto nel periodo del boom economico. Nei prossimi quindici anni, si prevede quindi un passaggio generazionale di patrimoni, piccoli e grandi, per duemila miliardi.
Ma non si tratta solo di ricchezze finanziarie. Le sole aziende familiari rappresentano l’85% del made in Italy produttivo, un patrimonio di know-how e tradizione imprenditoriale fortemente identitario.
Il passaggio generazionale comporterà quindi anche il controllo e la gestione operativa delle imprese, così come le competenze e le esperienze professionali. E non sono la maggioranza i casi sarà possibile applicare la logica “di padre in figlio”, magari prevista con anni di preparazione. Molto spesso i figli non ci sono, oppure non hanno voglia (o capacità) di sedersi sulla poltrona di comando, oppure preferiscono la più tranquilla gestione del patrimonio cedendo le partecipazioni ad altri imprenditori o a fondi di private equity, scelte che peraltro possono avere il fattore positivo di garantire la continuità e magari anche il rilancio aziendale.
Ci troviamo quindi di fronte ad una dinamica demografica che ha almeno quattro dimensioni di rischio, dimensioni che tuttavia possono diventare altrettante opportunità. 1) il passaggio generazionale nella gestione delle imprese in uno scenario esterno di grandi cambiamenti sul fronte dell’innovazione; 2) un analogo passaggio sul fronte finanziario e patrimoniale con dimensioni e numeri senza precedenti di eredità e successioni; 3) la trasformazione di una quota significativa di imprese strettamente familiari, controllate e gestite direttamente dal “padrone”, in aziende dirette da manager; 4) la necessità di programmare con il più largo anticipo le scelte da compiere anche per essere pronti ad affrontare eventi imprevisti.
Considerare per tempo questi problemi può essere fondamentale non solo per evitare di finire come una rana bollita, ma soprattutto per salvaguardare e rilanciare il grande valore delle piccole e medie imprese italiane.