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Patrimonio e finanza ordinata: così le Pmi possono investire e crescere

Patrimonio e finanza ordinata: così le Pmi possono investire e crescere
Equilibrio di bilancio

L’inflazione che sale, un accesso al credito che si fa sempre più arduo, la crisi energetica, gli ordini in calo, un generale rallentamento economico: sono questi i principali ostacoli che le piccole e medie imprese italiane devono affrontare. E il futuro appare così tanto disseminato di incognite che fare previsioni sembra quasi impossibile. Eppure non manca l’ottimismo. Ma riguarda sempre e solo le Pmi che hanno messo a fuoco concetti ben precisi: per restare a galla, per essere competitivi bisogna avere le spalle coperte e i conti in ordine. In modo da poter investire nelle tecnologie e nel capitale umano, dunque innovare. Tutto questo passa da una buona governance e una buona dose di coraggio. Ma i risultati ci sono, chi osa ed esce dalla “zona di comfort” sta già registrando incrementi di fatturato, sia pur contenuti. Sta crescendo.

Spalle coperte, dicevamo. Ecco, in tal senso una delle parole d’ordine dovrebbe essere patrimonializzazione. Ma anche conti in ordine, sì. Perché l’equilibrio patrimoniale è fondamentale, permette – tra l’altro – di evitare indebitamenti eccessivi, ritardi, insolvenze e tutti quegli altri eventi che minacciano la salute di ogni azienda. Il mercato resta e resterà instabile, questo è sicuro. Il quadro macroeconomico non si può definire incoraggiante. Ma il rilancio è possibile, se si riesce a costruire una resilienza che poggi su un adeguato percorso di rafforzamento patrimoniale e una serie di azioni preventive. Ma cosa fare, concretamente? Ne abbiamo parlato con Alfonso Del Giudice, professore ordinario di Finanza aziendale presso la Facoltà di Economia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. E grazie a questo confronto, via via si sono definiti step ben precisi.

DEBITO A BREVE TERMINE E CAPITALE CIRCOLANTE

Equilibrio di bilancio

«La struttura finanziaria dell’impresa – spiega il docente della Cattolica - si basa sul rapporto tra il capitale di debito, tipicamente quello che mette la banca, e il capitale proprio. Dovrebbe essere sempre bilanciato, adeguato. E invece spesso, nel caso delle Pmi, si crea uno squilibrio tra il debito e i mezzi propri che incide negativamente sul merito creditizio». E se il merito creditizio lascia a desiderare, l’azienda risulta inaffidabile agli occhi delle banche; senza considerare che questo stesso parametro gioca un ruolo chiave nella determinazione dei tassi di interesse da applicare in caso di finanziamento.

«Tra le voci di debito che vanno controllate con regolarità – continua Del Giudice – sarebbe dunque necessario mettere quella relativa al debito verso le banche a breve termine. Cioè entro l’esercizio». C’è un errore commesso da parecchie Pmi, e che invece dovrebbe essere accuratamente evitato: «L’utilizzo del debito a breve termine per finanziare opere che invece sono a medio e lungo termine. La conseguenza è un carico che inevitabilmente si fa pesante, perché il tasso è sovente variabile e i costi lievitano».

Lo ribadiamo: il debito a breve termine va monitorato, è importante badare che abbia scadenze in linea con gli investimenti da fare. «L’impresa di piccole dimensioni – chiarisce ulteriormente Del Giudice – deve essere in grado di gestire bene il capitale circolante, quindi tutto ciò che serve per far funzionare le cose nell’arco di un anno». Il capitale circolante, lo ricordiamo, deriva dalla somma dei crediti commerciali e delle rimanenze di magazzino meno i debiti commerciali e riguarda a sua volta il breve termine: «Se lo gestisco bene, libero risorse per gli investimenti e le attività di espansione».

Arrivati a questo punto, focalizziamo due risvolti positivi riconducibili a un operato che – in riferimento al debito a breve termine e al capitale circolante – potremmo definire “diligente”:

  • L’azienda si mette al riparo da possibili rialzi dei tassi di interesse, perché se riduce il debito a breve riduce anche l’esposizione a tale rischio.
  • Gestendo bene il capitale circolante, quindi risorse che servono nel breve termine, l’azienda si espone di meno anche al rischio di inflazione.

L’IMPORTANZA DI UNA FINANZA ORDINATA

Equilibrio di bilancio

Altra questione su cui soffermarsi è quella degli equilibri su cui si basa la struttura finanziaria dell’impresa.

«Le imprese italiane hanno spesso un problema di competitività e produttività, perché le loro stesse dimensioni non consentono investimenti mirati allo sviluppo. Quindi non riescono a inserirsi nei mercati globalizzati». “Piccolo” può essere bello, in quanto porta flessibilità e consente di operare nelle nicchie di mercato in cui, per certi versi, si è più liberi. Liberi anche di fare, creare, inventare. «Però – avverte Del Giudice – c’è anche il dark side di questa situazione: superata una certa soglia, se non hai una finanza ordinata e una struttura solida, ti areni. Se vuoi crescere in termini di produttività, non basta assumere abili operai; devi investire maggiormente sul capitale umano, anche arruolando professionisti, e nelle tecnologie».

La parte finanziaria dovrebbe essere sempre migliorata, al fine di attrarre sia capitali che talenti (pagandoli adeguatamente). Le aziende che non agiscono e non pensano anche a questo, se il mercato rallenta o si ferma vanno a picco. Non trovano più il modo per galleggiare e guadagnare di più.

INCREMENTARE IL PATRIMONIO

Equilibrio di bilancio

E poi si apre un discorso che richiede, tra l’altro, un cambiamento di mentalità. Ma continuiamo ad andare con ordine. «Durante un esercizio – ricapitola Alfonso Del Giudice – la Pmi produce un utile e una perdita: stiamo parlando di conto economico. Il piccolo imprenditore, nella maggior parte dei casi, si paga attraverso l’emolumento da amministratore. Il suo compenso, quindi, è un costo dedotto proprio dal conto economico».

Ora. Succede che l’imprenditore utilizzi gran parte degli utili prodotti dall’impresa per sostenere sé stesso e/o pagare i dividendi. Ma così facendo sottrae risorse alle riserve che dovrebbero servire a incrementare il patrimonio aziendale. «Le riserve fanno parte del capitale proprio. Se l’azienda ha una perdita e l’imprenditore non distribuisce il patrimonio in modo corretto, accantonando meno di quanto sarebbe necessario, finisce per pagarne le conseguenze. Cresce il debito ma non il patrimonio netto». E ancora una volta, viene pregiudicata anche la possibilità di fare investimenti.

Lavorare con più debito che equity non è sbagliato, «una proporzione che sia a favore del debito – riflette Del Giudice – è fisiologica. Ma d’altra parte, se si riduce eccessivamente il tuo apporto all’impresa, aumenta il rischio di insolvenza. E la banca alza i tassi, oppure chiede garanzie personali all’imprenditore». Nadine Solano